Un velo di silenzio sull’esecuzione di Alex
È stato uno sgarro verso un nuovo gruppo criminale. Una gang feroce che sta impossessandosi con azioni sanguinose del territorio della costa di Oaxaca, nel sud del Messico. Ecco cosa c’è dietro alla morte atroce di Alex Bertoli, 28 anni, il cuoco triestino giustiziato a Mazunte a un paio di chilometri dalla spiaggia dorata dove c’è il suo ristorante, “La dolce vita”. Alex è stato torturato, seviziato e dato alle fiamme quando forse era ancora vivo. Seppur in una zona martoriata dalla criminalità, il suo è stato un omicidio talmente efferato e dai contorni investigativi al momento oscuri che la procura di Oaxaca non ne ha dato notizia.
Tanto che ieri - per la prima volta in Messico - l’“Imparcial”, il giornale on line più diffuso nello Stato di Oaxaca ha titolato: «La procura nasconde l’omicidio di un italiano» e nella pagina riporta anche l’immagine degli articoli apparsi sul Piccolo. Un atteggiamento inspiegabile se si pensa che sullo stesso sito appaiono regolarmente notizie di omicidi anche di turisti. Però quello di Alex gli investigatori lo hanno tenuto nascosto. Perché?
Nell’articolo fimato da César Gonzales si accenna tuttavia a una dichiarazione tardiva del procuratore generale che, a quattro giorni dall’efferato fatto di sangue, appunto conferma i sospetti degli investigatori nei confronti di un nuovo gruppo criminale che da qualche mese si sta progressivamente impossessando del territorio dove Alex aveva realizzato il suo ristorante sul mare, quello che avrebbe dovuto essere il suo sogno e invece è diventato luogo di tragedia.
Così si pensa allo sgarro, all’imprudenza, alla parola di troppo nei confronti di un boss che, nei giorni scorsi, potrebbe - questa è l’ipotesi - essere andato nel ristorante per offrire protezione ma anche qualche soldo al giovane imprenditore. E Alex forse non si è nemmeno reso conto del terribile guaio in cui inevitabilmente si stava cacciando. Perché in quel «paese violento e povero», come ha spiegato un funzionario dell’ambasaciata di Città del Messico, «la vita non ha lo stesso valore dell’Italia».
Ieri intanto è stata eseguita l’autopsia sui resti carbonizzati del cuoco triestino. Ma i risultati - indispensabili per la ricostruzione dell’esecuzione - si conosceranno solo tra qualche giorno. Che la situazione non sia semplice si intuisce anche dal fatto che il ministero degli Esteri italiano ufficialmente solo dopo tre giorni dall’omicidio lo ha confermato perché pressato dalla stampa.
Tuttavia anche ieri attraverso altri canali sono trapelate nuove informazioni sulla morte di Alex. In tasca, quando è stato ritrovato nel campo ai confini con la località di Mazunte, aveva circa 300 pesos (poco meno di 20 euro) il cellulare spento e le chiavi del ristorante. Elementi questi appunto che fanno pensare anche a migliaia di chilometri di distanza che quanto accaduto non sia stata una rapina. Ma piuttosto una terribile e feroce punizione. La moglie Pamela aveva detto che al mattino Alex era uscito dal locale dopo aver ricevuto una misteriosa telefonata. Aveva detto che si sarebbe assentato per poche decine di minuti. Ma qualcuno - evidentemente - lo ha fatto salire su una macchina che si è diretta verso il luogo dove poi è stato giustiziato. Prima lo hanno picchiato e torturato. Poi gli hanno dato fuoco.
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