Un quinto degli edifici nel centro storico di Trieste potrà essere demolito e ricostruito
TRIESTE Il Comune celebra i quarant’anni del cosiddetto “piano Semerani” mandandolo in meritata quiescenza. Roberto Dipiazza vuole chiudere il mandato con un messaggio forte diretto alla proprietà immobiliare, ai professionisti e alle aziende del settore: il centro storico non è intoccabile, vi si può intervenire con il dovuto discernimento, selezionando luoghi e metodi.
Il nuovo piano - con uno slittamento di tre mesi rispetto a quanto annunciato in aprile - sarà adottato lunedì 7 settembre e da quella data scatteranno i trenta giorni durante i quali i cittadini potranno esprimere osservazioni, rilievi, ecc. «Chi ha qualcosa da dire - celia il responsabile dell’Urbanistica Giulio Bernetti - lo dica adesso o taccia per sempre». Scaduti i termini, il dossier tornerà in giunta a cura dell’assessore Luisa Polli: in teoria dovrebbe bastare, a meno che - come assai probabile - un quarto dei consiglieri comunali chieda la discussione in aula. Non ci sarà occorrenza di valutazione ambientale strategica perché la Vas è già stata eseguita per il Piano regolatore generale. A novembre il piano sarà vigente.
Il gruppo di lavoro è coordinato dall’architetto Beatrice Micovilovich. Ne fanno parte Ezio Golini, Michele Grison, Mauro Pennone. Vi ha partecipato Andrea Zacchigna recentemente scomparso. Imponente il lavoro di analisi tecnico-storica e di schedatura: censiti 1621 edifici tra “città murata”, i tre borghi imperiali (Teresiano, Giuseppino, in parte Franceschino), via Udine, l’asse tra viale XX Settembre e via della Pietà. Il più vasto nucleo della regione.
E adesso comincia il bello, la materia entra nel vivo, previo avvertimento che le percentuali utilizzate sono orientative. Il 5% è solo restaurabile perché si tratta di chiese, monumenti, siti artistici. Il 45% esige il riguardo dell’involucro esterno ma ammette iniziative puntuali di ristrutturazione interna. I restanti 800 immobili sono suddivisibili in due macro-categorie: 500 vanno rispettati all’esterno ma sono sventrabili all’interno; 300 possono essere demoliti e in luogo di essi sarà lecito costruire ex novo. Per farla breve, quasi un quinto degli stabili situati nel centro storico è potenzialmente abbattibile: «Anche il palazzo dell’Anagrafe dove ora stiamo parlando», ammicca beffardo il Bernetti. Il dopo-Semerani prospetterà classi e categorie di intervento, che tengono conto di posizione e caratteristiche dell’edificio e che suggeriscono la conseguente tipologia edile.
Parola d’ordine: rifunzionalizzazione dello stabile. Non certo elegante ma comprensibile: in base al principio di “restauro attivo”, il proprietario potrà realizzare ascensori, corpi-scala, solai. Bernetti e la Micovilovich sottolineano come il lavoro pianificatorio è stato svolto a stretto contatto con la Soprintendenza.
È chiaro che al posto di uno stabile demolito non sarà consentito riedificare in maniera arbitraria, discrezionale: verranno elaborate linee progettuali alle quali proprietario-architetto-impresa dovranno attenersi, con particolare attenzione all’ecosostenibilità e al verde.
Laddove vi siano tetti “piani”, ne è permessa l’accessibilità, non solo ad alberghi e pubblici esercizi, ma anche alle abitazioni private. Bernetti & Micovilovich annotano che, dopo la “reclusione” dovuta al Covid, c’è una forte richiesta di alloggi dotati di sfoghi “open”.
Un’ulteriore opportunità riguarda le cosiddette Umi, unità minime di intervento. Stabili o aree di difficile soluzione, dove il Comune permette al privato di agire contribuendo alla risistemazione del contesto (parcheggi, alberi): i casi, per esempio, di casa Francol, di via Santa Tecla, di androna Economo. —
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