Un mix di metadone e farmaci: così è morto Buro in carcere a Trieste
Il trentottenne era deceduto nella sua cella e sepolto in seguito senza funerale. L’autopsia ha rivelato l’overdose. Chiesti controlli sul giro di medicine al Coroneo
TRIESTE Nicola Buro, il trentottenne triestino trovato morto lo scorso luglio in una cella del Coroneo, è deceduto a causa di un mix di metadone e psicofarmaci. Lo rivela l’esito dell’autopsia disposta dal pm Maddalena Chergia, il magistrato che aveva avviato gli accertamenti sul decesso.
L’esito dell’esame autoptico conferma dunque i sospetti che erano stati ventilati sulla tragica vicenda. Anche perché, si scopre ora, nella stanza del carcere in cui dormiva il trentottenne erano state rinvenute numerose pillole.
Ma non è stato chiarito chi gliele aveva fornite. E forse non si saprà mai, anche perché il pm ha chiesto l’archiviazione del fascicolo. Evidentemente non è possibile risalire al responsabile.
Il caso, però, mette in luce un’amara verità: in carcere c’è un giro di farmaci tra detenuti. Un giro che sfugge totalmente al controllo.
D’altronde non è la prima volta che al Coroneo si verificano decessi in circostanze analoghe. Molti ricorderanno ad esempio la morte per infarto del trentaseienne triestino Andrea Cesar. L’autopsia stabilì che l’uomo aveva assunto eroina.
Ma com’è possibile che Buro, che aveva problemi di tossicodipendenza, avesse la disponibilità di tutti quei farmaci? Succede spesso che i detenuti accantonino le terapie che ricevono. Poi, invece di assumerle, mettono i medicinali da parte per farne un uso improprio, in una sola volta, cercando lo stordimento o lo sballo. Alcuni detenuti, inoltre, si rivendono le terapie tra loro. Oppure le barattano, magari in cambio di sigarette o altro.
«È chiaro che in carcere c’è un giro e che non ci sono controlli adeguati», spiega la Garante comunale per i diritti dei detenuti, l’avvocato Elisabetta Burla. «Bisogna capire come vengono somministrati i farmaci. Com’è possibile che i detenuti riescano ad accumularli? Inoltre – aggiunge – ritengo prioritario che ogni sezione sia dotata di defibrillatori e che vengano organizzati corsi per usarli correttamente».
L’avvocato Marta Silano e il collega Gianluca Brizzi, i legali che assistono la famiglia Buro, faranno comunque opposizione alla richiesta di archiviazione del caso. Vogliono che si faccia chiarezza sul traffico di farmaci in carcere. E chi li ha dati alla vittima.
Ma la vicenda ha purtroppo anche un altro lato triste: il trentottenne era stato sepolto senza che i familiari fossero avvisati. Cos’era successo? Ad autopsia avvenuta, la Procura aveva comunicato il nulla osta per la sepoltura all’ufficiale di Stato civile del Comune. Ma il municipio, forse a causa degli inghippi delle procedure anti-Covid, non aveva avvisato i parenti.
Gli avvocati intendono ora domandare un risarcimento all’ente. L’ultima consolazione, forse, per una famiglia che non ha mai potuto portare l’ultimo saluto al proprio caro: la madre e la sorella hanno visto Nicola entrare in carcere e poi hanno trovato il suo nome su una tomba in cimitero. —
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