Un manager triestino a capo della startup che rivoluziona l’idea del recruiting
TRIESTE Rinunciare, dopo un percorso fatto di successi, a una carriera da manager in un grande azienda del recruiting per lanciarsi in un’incognita? Luca Ortolani, manager triestino, nato e cresciuto a San Pasquale/Revoltella, lo ha fatto. Si è quindi lasciato alle spalle il ruolo di direttore commerciale in Manpower per scommettere sua nCore, startup che ha reinventato l’idea di selezione del personale.
Perché ha fatto questa scelta?
Dopo vent’anni di carriera tra consulenze per Ernst&Young e Deloitte, lavoro in azienda (sono stato dirigente di Danieli e Brovedani), dove ho avuto l’onore di crescere con la più spiccata cultura del merito e del “fare”, ed esperienze in una grande agenzia come Manpower, ho deciso di farmi un regalo, concedendomi l’opportunità di creare qualcosa di nuovo e di “mio”. Ho scoperto nCore mentre, in qualità di manager Manpower, cercavo nuove tecnologie per il settore delle risorse umane. Ho deciso di conoscere più da vicino questo progetto, e me ne sono innamorato. E proprio in piazza Unità, al Caffè degli Specchi, Enrico Ariotti, il fondatore di nCore, ed io, ci siamo stretti la mano per cominciare questa avventura.
In cosa consiste il software per il recruiting di nCore e qual è il target?
nCore, nato come sistema di video interviste supportato da un sistema di intelligenza artificiale ed algoritmi che permettono l’analisi semantica e il “sentiment” dei candidati, si è evoluto nell’ultimo anno ed è diventato una piattaforma digitale completa per la gestione della ricerca e della selezione del personale.
Chi si rivolge alla vostra startup?
Il nostro target sono le aziende che si occupano di ricerca e selezione, come Adecco per esempio, tra i nostri primi clienti in Italia, e le grandi aziende, multilocalizzate e globali - nCore è giá attivo nelle principali 5 lingue diverse - che hanno importanti volumi di reclutamento. La startup si svilupperà ancora nei prossimi 12 mesi, fino a diventare un vero e proprio market place dove le aziende potranno gestire in modo totalmente autonomo, oltre alla selezione del personale, anche le ricerche di competenze o altri processi.
In Fvg avete clienti?
In regione stiamo sviluppando progetti pilota con alcuni clienti. Stiamo puntando su importanti realtà, in diversi settori industriali.
Come vede il presente e il futuro di Trieste?
Abbiamo una città molto complessa, una “bestia difficile” con potenzialità infinite ed eccellenti risorse, ma ancora vittima di una politica che non sa innovare e di una cultura ancora molto individualista, poco capace di fare sistema con il resto della regione e con i Paesi limitrofi. Le opportunità del presente riguardano senza dubbio il Porto, con una guida che negli ultimi anni ha impostato una gestione di più ampio respiro, il turismo, che vive però su posizioni di rendita date dalla nostra posizione geografica, il settore tecnologico e dell’innovazione su cui, a mio avviso, occorrerebbe investire di più. Abbiamo una terra che attrae facilmente talenti, una città dove si vive bene che è tra le prime in Italia per servizi: dovremmo saper valorizzare di più questi asset e attrarre investimenti nei settori a maggior crescita.
Da dove partire?
Dal Porto vecchio. Lì abbiamo spazi che potrebbero ospitare centri di innovazione, coniugando architettura storica e tecnologia; dovremmo ispirarci di più alla Cina o ai Paesi nordici dove hanno riconvertito intere aree industriali dismesse risocializzandole con iniziative di questo genere. Finora, su questi temi, ho visto solo iniziative circoscritte, come la candidatura di Trieste 2020 a Città della Scienza, che però si son sempre esauriti in singoli eventi o fiere, e quasi mai concretizzati in iniziative di politica industriale. Il futuro è ricco di opportunità, ma va costruito aggregando soggetti privati attorno a un progetto comune di città. La politica e il settore pubblico possono al massimo agire da garanti, non da attori primari. E poi c’è un ultimo aspetto fondamentale.
Quale?
Il nodo cruciale resta quello dei collegamenti, ancora troppo poco veloci e efficienti per connetterci adeguatamente con il resto del Paese. —
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