Un giorno a Valmaura - La moka sempre accesa di Maria

«Ho aperto questo salone nel 1960. Sei anni prima ero arrivato a Trieste da Capodistria» racconta Armando, barbiere di Strada vecchia dell’Istria, uno degli ultimi esercizi pubblici ancora in attività in questa zona del rione di Valmaura. I due clienti della mattina sono affezionati a questo brivec di quartiere: «Pensa che un tempo, negli anni settanta, a fare lo stesso mestiere in questa via eravamo in cinque. C’era un tale andirivieni di gente che non sembrava di vivere in periferia».
Oggi Strada vecchia dell’Istria ospita alcuni fori commerciali, una scuola materna, un panificio e poco altro. «Anche l’osteria qui vicina ha chiuso. Ormai le persone non si fermano più» continua Armando, guardando con un po’ di malinconia fuori dalla vetrata del suo salone, dove alcuni operai stanno facendo manutenzione di qualche condotta. «Da quando hanno cominciato a edificare le nuove case qui davanti è come se questa zona si fosse svuotata. Ogni anno che passa perdo qualche cliente a causa dell’età. Tanti sono anziani e, se penso al fatto che un tempo riuscivo a fare anche trenta barbe al giorno, allora credo sia arrivato il momento di abbassare la serranda».

Il barbiere trova il tempo per regalare una sua riflessione, che probabilmente è in linea con il pensiero comune della categoria professionale: «Un tempo la gente veniva volentieri a tagliarsi i capelli, a sistemarsi, a curarsi insomma. Oggi c’è meno attenzione, si spende anche per altro, per i telefonini, per le macchine, per le tante spese che ci sono quotidianamente. Un tempo i soldi che ti restavano in tasca erano molti di più». Armando chiuderà nell’arco di qualche mese. «Il fatto è che probabilmente non subentrerà nessuno al mio posto. Io ho una licenza vecchia ma, se qualcuno volesse continuare l’attività, dovrebbe chiederne una nuova con tutti i cambiamenti che le nuove regole impongono». Il suo negozio è stato punto di riferimento per le persone del quartiere. Lo specchio dentro al salone avrà sorriso a migliaia di clienti in 57 anni di carriera.
Strada vecchia dell’Istria racchiude un’altra storia di longevità. Si tratta di Emma, istriana di Buie, che continua a vendere fiori vicino alla scuola San Sabba dal lontano 20 settembre 1958. «Ci sono sempre meno attività qui nel quartiere. Ho aperto dopo esser venuta via dall’Istria. C’era tanta gente che girava qui attorno, oggi invece ce n’è sempre di meno».
Di fronte al chiosco di fiori della signora Emma da tanti anni - forse troppi - vanno avanti i lavori di costruzione di complessi abitativi. Gli abitanti della zona manifestano l’insoddisfazione per la lungaggine, per il fatto che i cantieri siano da tantissimi anni in piedi senza intravederne la conclusione. Un po’ come quello che è successo con il campo da calcio di Giarizzole, non lontano dall’attività di Emma. Il grande pannello esplicativo del progetto recita così: “Lavori per la realizzazione delle opere di sistemazione dell’oratorio e degli impianti sportivi del comprensorio parrocchiale denonimato Casa del giovane in via Cesca 4 a Trieste”. In fondo, dopo i 326.198,20 euro come “importo totale dell’appalto previsto”, si leggono le date di consegna e fine lavori: la prima risale al 20 gennaio 2015 mentre la seconda, quella più importante, dice 16 settembre dello stesso anno. Lo stato di abbandono del campo da gioco è evidente. La Casa del giovane invece sembra pronta.
Dall’altra parte della strada, al primo piano di un edificio costruito al tempo del Governo Militare Alleato, trova spazio la Microarea. Un luogo dove le persone del quartiere trovano un’accoglienza particolare. «Diamo una mano alla gente che manifesta l’impossibilità e l’incapacità di risolvere problematiche quotidiane» racconta la referente del servizio Reanna. «Tuttavia non gestisco il tutto da sola, la vera anima di questo spazio è Maria che si occupa dell’apertura e di molte altre attività».
Attorno al tavolo dell’appartamento ci sono Alessia, Simone e la signora Romana che ha compiuto 90 anni. «Ho fatto la bidella alla Caprin per decenni» rivendica con orgoglio. «Ho anche un nipote magistrato negli Stati Uniti, per me è una grandissima soddisfazione». Oltre a loro, una mano la danno anche Alice che svolge il Servizio Civile, Vera e Paola che svolge la sua mansione in borsa lavoro. La microarea di Giarizzole aiuta moltissime persone. È un ambiente familiare, dai colori e dalle atmosfere calde. Maria mette su il caffè: «Ogni tanto passa qualchidun la mattina presto e me domanda subito una moka. Ghe rispondo, scherzando, che questo no xe un bar».

Da Giarizzole il rientro sulla via Valmaura passa attraverso l’osteria al Velocipede, chiamata ancora Ex Orbo per quella particolare incapacità dei triestini - ma non esclusiva - di abituarsi alle novità. In questo viaggio nella periferia numerose sono state le volte in cui le persone riconoscono un luogo con il vecchio nome. È evidente, a volte invadente, l’ossessione emotiva che questa città manifesta per il passato. «La mattina arriva un esercito di pensionati innamorati del Tresette. Dovresti sentire le baruffe che creano per una carta giocata male» dice Mario, gestore e anima dell’universo vespista triestino.
Dentro al comprensorio dell’Ater è presente il Distretto 3 dell’Azienda Sanitaria che serve migliaia di persone. Alfio Stefanich è uno dei decani del servizio. «Le microaree non rappresentano assistenzialismo. Noi non siamo una presenza impositiva, i cittadini si confrontano con ciò che accade nella zona, diventano risorse che aiutano la comunità. Poco più di cinque anni fa trovammo una persona che era deceduta in casa da oltre un mese. Quando sono gli stessi vicini a farsi portavoce di determinate problematiche per noi il lavoro diventa più leggero».

Sulla parete della stanza ci sono alcune fotografie delle persone che frequentano la microarea. L’occhio cade su una lettera di ringraziamento alla microarea per la vicinanza espressa nei confronti della famiglia della signora Lidia, deceduta ad ottobre. Un vanto silenzioso, di quelli che, al contrario di ciò che accade, andrebbero sbandierati.
La microarea di Valmaura è un mondo a sé. Per combattere l’immagine fuorviante della periferia degradata, un viaggio all’interno di queste strutture dove i bambini scorrazzano con i tricicli dovrebbe diventare pratica obbligatoria. Soprattutto a chi pensa di conoscere veramente la propria città.
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