Un anno al marito e patrigno “padrone”

Era iniziata come fosse la più strappalacrime tra le favole in cui l’amore trionfa su tutto, si è poi trasformata nella peggiore delle storiacce familiari, ed è finita quindi con la condanna di un uomo a un anno di reclusione senza la sospensione condizionale della pena, una pena scontabile presumibilmente con un affidamento ai servizi sociali.
È così che s’è appena chiuso, davanti al giudice per l’udienza preliminare Laura Barresi, il processo celebrato col rito abbreviato a carico di F.S., 42 anni, di cui omettiamo le generalità complete per non rendere riconoscibile lui e le parti offese del processo stesso.
A lui il sostituto procuratore della Repubblica Massimo De Bortoli - sulla base delle denunce dell’ex moglie ai tempi della loro separazione, che avevano innescato le indagini dei poliziotti del Commissariato di San Sabba prima e dei carabinieri del Nucleo investigativo provinciale poi - contestava un pesantissimo filotto di ipotesi di reato che andava dagli atti sessuali su minore aggravati dalla coabitazione con la vittima ai maltrattamenti in famiglia, dalle lesioni allo stalking.
Un filotto che il pm De Bortoli ha ereditato in parte da un primo fascicolo della collega della Procura Cristina Bacer, e che il difensore di F.S., l’avvocato Roberto Corbo, sentito il dispositivo di sentenza e in attesa a questo punto del deposito delle motivazioni, deduce possa essere stato ridimensionato, più che altro, al riconoscimento di una colpevolezza in fatto di maltrattamenti in famiglia.
La vicenda, come conferma lo stesso avvocato Corbo, parte da lontano. Da una bella storia d’amore. F.S. conosce una donna colombiana immigrata a Trieste, che vende il proprio corpo. Se ne innamora e, corrisposto, la strappa dalla strada e la sposa. Prendono casa assieme e lei chiede e ottiene dalle autorità il ricongiungimento di una delle sue figlie, tredicenne, che va a vivere con loro. Dopo un paio d’anni l’amore si esaurisce, il matrimonio pure, e la donna vuota il suo sacco. Racconta di un marito padrone, accecato dalla gelosia, che era arrivato a picchiarla, a vessarla, e a perseguitarla anche dopo che si erano lasciati, ma anche di un patrigno orco, che avrebbe abusato a lungo di sua figlia minorenne: lavorando solo al mattino, in una macelleria, passava molti pomeriggi a casa, con la figliastra, e in quegli stessi pomeriggi la madre era spesso fuori, impegnata come addetta alle pulizie. Pure la ragazzina conferma tale versione: dice di aver avuto un patrigno violento e in cerca di contatti intimi con lei nei momenti in cui la mamma non c’era.
Seguono le indagini e quindi il processo abbreviato, con tanto di incidente probatorio, nel quale viene sentita la ragazzina stessa che conferma le denunce, e di controperizia della difesa, che sostiene invece la non veridicità delle accuse a sfondo sessuale. Mamma e figlia, davanti al giudice, rimangono per inciso parte lesa, senza una costituzione di parte civile. Si arriva così alla sentenza di primo grado del gup Barresi: un anno senza condizionale. Una sentenza che, pur in attesa del deposito delle motivazioni, è più improbabile sia impugnata dall’avvocato Corbo che dal pm De Bortoli.(pi.ra.)
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