Un amarcord di Trieste tra mlekarice e pancogole

Slow Food riporta alla ribalta storie e sapori per i “Granai della memoria”. E Vesna Gustin ripercorre i tracciati delle storiche venditrici carsoline di cibo
Una rievocazione storica delle classiche pancogole di Servola
Una rievocazione storica delle classiche pancogole di Servola

TRIESTE C’erano le mlekarice e le venderigole. Le pancogole di Servola, che per tre secoli hanno riempito di pane tutta Trieste, e le venditrici di mussoli. Senza dimenticare quelle che dalla città portavano e diffondevano il pesce in tutto il Carso.

Storie di altri giorni. Poco noti, probabilmente migliori, in chiave enogastronomica. Perchè in quei tempi (mica il Medioevo, eh, certe tradizioni sono andate avanti fino a metà degli anni ’70) il termine “chilometro zero” probabilmente aveva ancora un senso e la capacità e possibilità di nutrirsi dei prodotti del territorio era un valore aggiunto.

Onore e merito, dunque, a Slow Food, che sul tema dei “Granai della memoria” ha creato in città, al Savoia, un incontro che andrebbe riproposto nelle scuole. Per non dimenticare, in primis, visto che la memoria è la base della comunità. E, molto spesso, per sapere, perché certi ricordi non sono decisamente patrimonio di tutti, sicuramente non delle giovani generazioni.

Pensare a donne che, come ha ricordato Vesna Gustin, gastronoma, ricercatrice, massima esperta di cucina del Carso, con ogni tempo «e con l’unica eccezione di Pasqua, Natale e del giorno in cui si sposavano», si mettevano le gerle o i contenitori di latte addosso e venivano in città per vendere, fa una certa impressione.

Certo, il vicesindaco Fabiana Fabiani ci trova anche un aggancio per la campagna in corso contro la violenza sulle donne, sempre latente, ma un dato è evidente: erano donne eccezionali, come tante, come tutte. E hanno “fatto” l’economia di Trieste e del territorio. E quindi, giustamente, vanno celebrate.

Provate a immaginarvi 25 chilometri percorsi a piedi magari con carichi importanti e con un clima inclemente. Era la quotidianità, allora, e nessuna si è mai lamentata. Chi ha qualche anno di più, anzi, può ricordare con struggente malinconia quegli anni fatti di porte aperte, di fiducia, di amicizia. Di rapporti umani, soprattutto.

Non c’erano “maxi” , non c’erano supermercati, non c’era l’acquisto all’ammasso. C’era il tuo fornitore, e solo quello. Che apprezzavi, magari, anche di più, conoscendo la fatica che comportava il suo lavoro.

Gianpaolo Fassino, antropologo e docente all’università di Pollenzo, l’ateneo di Slow Food, si gode, apparentemente ogni nuova scoperta. «In Friuli Venezia Giulia - racconta - abbiamo raccolto finora 3-4 casi, non di più, ma molto pregnanti. Lavoriamo sul mondo contadino, sulle sue tradizioni... A livello nazionale e internazionale possiamo contare già su un migliaio di testimonianze, più consistenti, devo ammetterlo, in chiave italiana».

L’operazione “Granai della Memoria” è stata promossa e realizzata dall’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche e da Slow Food: è un percorso scientifico e didattico che intende salvaguardare i saperi orali, parte costitutiva del processo evolutivo dell’uomo.

Il progetto, in continua evoluzione, punta a raccogliere e comunicare in video le memorie del mondo attraverso un complesso archivio multimediale. Le interviste raccolte nel corso delle ricerche riportano testimonianze di contadini, operai, artigiani, imprenditori, partigiani e sono consultabili su www.granaidellamemoria.it

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