Ultimo cin da “Deo” «Esercenti piegati da crisi e scartoffie»

Paolo Del Sal ha ragione. Dopo una dozzina d’anni trascorsa a lustrare il bancone, servire la birra perfetta (senza cinque centimetri di schiuma, ma soprattutto belga) e tentare di rovesciare la noia cittadina con l’esibizione di qualche band locale non ci si può lasciare in sordina, senza nemmeno un brindisi d’addio. Si deve anzi «Bever l’ultima e no lasarse come cani!». Lo ha scritto giorni fa su Facebook, dopo un preambolo che suonava grosso modo così: «Dopo 12 anni di attività siamo rammaricati nel dovervi comunicare la nostra chiusura». E tuttavia «per lasciarci comunque con il sorriso, siamo lieti di invitarvi alla Festa d’addio del bar “Da Deo”, che, impossibile negarlo, ha contribuito a fare la storia e la movida di Monfalcone, città oramai decadente».
Gli affitti definiti «importanti», il lungo (ed estenuante) braccio di ferro con l’amministrazione per la vicenda del gazebo rimosso - era il più antico dehors della città - per lasciar spazio a ciclabile e parcheggi, poi pure spariti dal cronoprogramma dell’ente, la crisi economica in senso ampio, che dimezza le tappe al bar degli avventori e li fa più facilmente scivolare alle private dove il calice è low cost, le scartoffie per organizzare un concertino e il fuggi-fuggi della movida verso le periferie o i paesi del mandamento hanno portato il titolare del cetralissimo bar a issare bandiera bianca e spegnere l’insegna. Il referente degli esercenti monfalconesi Luciano Marchesi, per anni titolare di locali a Monfalcone e ora invece dipendente della “La Baia degli Uscocchi” a Duino, sintetizza così: «Con questa crisi siamo messi male».
E del resto la saracinesca abbassata di “Deo” è solo l’ultima di una serie di attività, pur longeve, che hanno chiuso la partita Iva in città. Se per i negozianti è dura, per gli esercenti è anche peggio. Pertanto il gesto del dirimpettaio “Marino” che ha ospitato sul bancone i volantini della festa di Del Sal la dice lunga sulla solidarietà nella categoria. «L’antagonismo non esiste: lui fa ristorazione, noi caffè e drink. Dispiace perché con la chiusura di Deo, ora una parte del viale si spegne completamente visto che banca e polleria sono ormai chiuse. La strada sarà ancora più triste», conclude Paolo Marino. Ma Del Sal non ha nulla da rimproverarsi: «Di investimenti ne ho fatti parecchi in questi anni, a partire dal completo rinnovo dei locali, che prima erano adibiti a tradizionale trattoria». La storia di “Deo” è infatti lunga: dal 1960 ai primi anni Duemila è stata un vero punto di riferimento, con la gestione di Teresa Brandi, per gli avventori patiti della cucina semplice e genuina, di casa. «Il punto è che la clientela si è un po’ persa, è migrata altrove, per esempio Turriaco o Staranzano. Parlo con tanti colleghi e me lo confermano».
Due fattori hanno inciso nell’epilogo del bar sotto l’attuale conduzione: l’eliminazione del gazebo «che garantiva lavoro tutto l’anno e costituiva un punto di sfogo importante» e i costi d’affitto. «Quando i conti non tornano più - commenta Del Sal - non puoi rimetterci del tuo. È meglio chiudere. Cosa farò? Mi prenderò una pausa di riflessione e poi vedrò». Sul gazebo, però, l’uomo si leva un sassolino: «L’amministrazione voleva rimuoverlo per farci la ciclabile e nuovi parcheggi, alla fine pare che non ci saranno né la pista né nuova sosta e allora penso che il dehors poteva anche rimanere in piedi...Impensabile costruirne uno nuovo adesso, troppo dispendioso». E i clienti come l’hanno presa: «Sono tutti affranti, però mi fanno gli auguri. Io spero che il bar resti in attività, possibilmente con una gestione cittadina. Dovrei essere arrabbiato, forse sono troppo buono...», conclude. Di certo i ricordi si affastellano nella sua mente in un lungo requiem: per “Deo” sono passati Elisa, sior Anzoleto con le sue innumerevoli spose, la banda dei Berimbau e perfino il duca Amedeo d’Aosta. Un anno Del Sal e Marino chiusero la strada e celebrarono le “nozze bisiache”, con tanto di concerto sulla linea di mezzeria.
Che il quadro sia notevolmente cambiato, in questi ultimi anni, lo sottolinea il referente di categoria Marchesi: «Oggi è durissima, tra tasse, crisi, burocrazia, concorrenza sleale e orari ballerini non è semplice portare avanti un’attività. Ormai ci sono solo quattro o cinque bar che lavorano, ma è troppo poco. Pensiamo alla ristorazione: sono rimasti appena un paio di ristoranti di pesce e due o tre locali per il rebechin. Il resto è kebab o pizza al taglio. Chiaramente se ci fossero più posti in cui cenare, la città sarebbe più attrattiva e i bar prospererebbero per l’aperitivo. Così non è e alle 21 tutto chiude». Insomma, Monfalcone città dormitorio. «Per carità - continua - la categoria s’inventa di tutto, però le difficoltà sono tante, penso alle scartoffie necessarie per un concertino». «Si cerca di resistere - conclude Marchesi - col Carnevale e San Nicolò, ma anche lì, se il meteo ci mette lo zampino son dolori. Vedi l’ultimo Martedì grasso: gli esercenti avevano pagato l’occupazione del suolo pubblico per mettere un tavolino fuori e vendere i drink. Ma la pioggia ha rovinato tutto, impedendo le attività esterne. Il sabato seguente, giorno della sfilata, non c’è stato verso di riposizionare i tavoli perché i titolari non avevano versato la somma per quel giorno e dunque non godevano più del permesso. L’amministrazione si è scusata per gli errori di comunicazione, ma intanto i soldi son sfumati...».
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