Ufficiale della Wehrmacht nei bunker 67 anni dopo

Kurt Schornsheim è tornato a Trieste: nella zona dell’Obelisco aveva operato come radiofonista della marina militare tedesca durante la II Guerra mondiale
Silvano Trieste 05/05/2011 Kurt Schornshim
Silvano Trieste 05/05/2011 Kurt Schornshim

di Matteo Unterweger

A Trieste era rimasto sei mesi, a cavallo tra la primavera e l’autunno del 1944. Vestiva la divisa della Kriegsmarine, la marina militare tedesca dell’epoca. Sarebbe passato poi alla fanteria della Wehrmacht al momento del rientro verso casa, prima di essere catturato dagli Alleati. Lo sfondo era quello della Seconda guerra mondiale, e l’incarico assegnatogli consumava le sue giornate nella stazione radio di rilevamento sistemata davanti a Opicina, nell’area oggi nota come dell’ex hotel Obelisco. Doveva monitorare i movimenti degli americani e segnalarli alle navi tedesche ferme nel Golfo.

Ieri, 67 anni dopo, Kurt Schornsheim è tornato a Trieste, scortato da Marco Simic e da altri appartenenti all’Associazione culturale Marino Simic che si occupa di ricerche e divulgazione storiche. L’hanno accompagnato - assieme a Giovanni Cola in rappresentanza degli Usi civici di Opicina - fra i bunker attorno all’Obelisco. Nel programma della giornata anche un passaggio tra i corridoi sotterranei della Kleine Berlin. Da Strausberg, città del Nord-Est della Germania vicina al confine con la Polonia, Schornsheim è arrivato in Italia assieme alla seconda moglie Krista. Tra i suoi ricordi si fanno largo frammenti dell’esperienza di guerra: «A Trieste facevo parte - spiega oggi, quando la lancetta del tempo scandisce le 87 primavere - dell’11.a divisione di sicurezza della marina tedesca. Avevo vent’anni, ero esploratore e radiofonista, appartenente a un reparto segreto». L’album del suo passato si apre anche, una cinquantina di passi dopo essere entrato, all’interno del bunker civile-militare alle spalle dell’Obelisco, dove aveva visto «la gente correre dentro al momento del bombardamento americano». E ancora, c’è un richiamo alla zona della stazione di Opicina: «I partigiani - spiega - avevano fatto le spie con gli Stati Uniti, che con i bombardieri fecero così saltare in aria il nostro deposito di munizioni. Sempre vicino alla stazione avevamo pure il nostro spaccio, dove ci davano da mangiare».

Quando un sommergibile nemico si avvicinava alle navi, Schornsheim lo segnalava via radio: «Così con la corvetta Uj202 venivano poi cacciati. Non riuscimmo mai ad abbattere i sottomarini, mentre due aerei sì. Avevamo otto navi, ne rimasero solo due alla fine. Le altre vennero affondate».

A Trieste scoprì la passione per la musica, coltivata anche a guerra finita («suonavo il piano, il sassofono, il clarinetto in una banda musicale», dice): «Qui avevo sentito un bel concerto, forse al teatro Verdi. Per la prima volta ascoltai la settima sinfonia di Beethoven». Abitava in una «grande villa», vicino alla postazione operativa, e in riva all’Adriatico trovò pure una fidanzata: «Il suo nome? Libera». Gli eventi di guerra lo riportarono verso la Germania nel novembre del 1944, venne fatto prigioniero dagli Alleati e portato in Francia. «Proprio lì, però - recupera un ulteriore dettaglio -, ho imparato a guidare, una jeep». Al volante indossava una sorta di divisa con impresso sulla schiena l’acronimo Pow: Prisoner of war. Tradotto: prigionero di guerra. Nel 1946, a guerra finita, «il ritorno a casa».

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Era il mio ultimo giorno qui a Trieste, all’Obelisco, nel novembre del 1944. Vidi un bombardiere americano e poi una grande esplosione sulla città». Scava ancora nella memoria Kurt Schornsheim. E rammenta la sua carriera nella Kriegsmarine: «Stavo per diventare ufficiale della marina militare tedesca. Ero sottotenente e stavo studiando per diventare tenente». Poi, la sua esperienza in seno alla marina finì, contestualmente alla permanenza a Trieste. Altri aneddoti: «Avevamo l’incarico di proteggere la nave Giulio Cesare». E inoltre: «Mi ricordo del bombardamento sotto cui finì anche il tram».

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