Uffici chiusi e addetti in smartworking mettono a rischio 4 mila posti di lavoro a Trieste

L’allarme dei sindacati sulle ricadute del lavoro agile nei settori delle pulizie, della ristorazione e della fornitura di servizi
Un’addetta alle pulizie lucida un tavolo in una sala riunioni. Lo smart working sta mettendo in grosse difficoltà le imprese che forniscono servizi agli uffici
Un’addetta alle pulizie lucida un tavolo in una sala riunioni. Lo smart working sta mettendo in grosse difficoltà le imprese che forniscono servizi agli uffici

TRIESTE «Se permane lo smartworking ad inizio 2021, a Trieste, saranno a rischio 4 mila posti di lavoro». I sindacati denunciano il rischio di una bomba sociale e lanciano un monito ai grandi gruppi come Generali, Fincantieri o Allianz, ma pure a enti pubblici come il Comune e la Regione: la modalità del “lavoro agile”, spiegano le sigle, sta generando un effetto domino su aziende e lavoratori impegnati nel fornire servizi anche a queste grandi realtà.

«L’effetto più grave di questo sistema si vedrà a gennaio-febbraio del prossimo anno, – avverte Andrea De Luca della Filcams Cigl – in un periodo dove già di base si registra una flessione del fatturato, gli ammortizzatori sociali saranno esauriti e il divieto di licenziamento sarà terminato. Inevitabilmente assisteremo ad una ristrutturazione delle imprese, con un taglio importante di posti di lavoro». Il sindacalista valuta che «calcolando i danni che lo smartworking sta generando nelle aziende che offrono servizi ai grandi gruppi e sommando gli effetti negativi che si stanno già registrando nei pubblici esercizi e nel commercio al dettaglio, si stima siano a rischio 4 mila posti di lavoro» .

Coinvolti in questa situazione sono, ad esempio, gli addetti alle pulizie, delle mense all’interno di alcune aziende, chi fornisce all’ingrosso detersivi, carta, chi si occupa della manutenzione ordinaria, oppure ha in appalto le gestione dei distributori automatici di snack e bibite, chi noleggia o fa la manutenzione sulle fotocopiatrici. E poi, a caduta, bar, ristoranti, negozi al dettaglio che hanno visto sparire le migliaia di clienti che nella pausa pranzo o a fine turno fruivano dei loro esercizi.

Fisascat Cisl, Filcams Cigl e Uilatucs, dunque, fanno suonare un campanello d’allarme evidenziando che «se da un lato i grandi gruppi puntano a tutelare la salute dei loro dipendenti, dall’altro non si rendono conto di generare un buco nell’indotto generando un’emergenza sociale». Il danno che questo sistema sta causando alla città, dunque, sta creando cali di fatturati su migliaia di attività, senza contar la mancata fruizione dei mezzi di trasporto pubblico o dei parcheggi da parte dei lavoratori. Le addette alle pulizie delle sedi dei gradi gruppi assicurativi si sono viste, ad esempio, ridurre da 40 a 15 le ore di lavoro settimanali. Gli addetti alle mense non vedono orizzonti più rosei. «Sono lavoratori penalizzati, – sottolinea Matteo Zorn, segretario di Uiltucs – che non hanno ammortizzatori ordinari, che hanno esaurito le settimane di ammortizzatori sociali previsti per l’emergenza Covid-19 e in attesa venga rinnovata la misura smaltiscono ferie».

«Se un ufficio, una sala conferenze, i servizi igienici in un ufficio non vengono utilizzati, è ovvio non vengano puliti e sanificati con la stessa frequenza di prima – constata Andrea Blau, segretario Fisascat Cisl – e che di conseguenza avvenga una riduzione delle ore delle addette alle pulizie che, come quelle impegnate nelle mense, stanno soffrendo». Blau mette sul chi va là le aziende: «Le persone impegnate nell’indotto non stanno avendo le medesime garanzie dei dipendenti diretti, – sostiene – c’è il rischio di un impoverimento generale e sociale». Ne sa qualcosa delle difficoltà che stanno toccando alcune aziende Paolo Polidori, vicesindaco di Trieste ma anche titolare della Polidori Vending che si occupa di ristorazione automatica. «Zero dipendenti, zero utilizzo dei distributori, – constata – un danno devastante, in pratica un prolungamento della Fase 1». Rifornimento di detersivi, sapone liquido, carta igienica e fogli di carta per fotocopiatrici, penne e cartoleria varia. Anche chi rifornisce di questi prodotti le imprese che mantengono lo smartworking, soffre. «Già chi ha come clienti i ristoranti subisce dei danni per lo stesso meccanismo, basti pensare quanti tovaglioli in meno vendiamo – constata Massimo Romita di Finzicarta –. Chi poi si rivolge solo agli uffici, sta attraversando una crisi importante, con cali di fatturato significativi». —


 

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