Ucciso da un razzo in Afghanistan, i vicini: «Un amico di tutti»
GORIZIA. Occhi lucidi, incredulità, rabbia per un destino avverso. Non si danno pace i residenti della palazzina di via del Carso a Gorizia dove Manuele Braj risiedeva da due anni, assieme alla moglie Federica. Il ricordo è quello di un ragazzo solare, gentile, amico di tutti. «Per me era come un fratello minore», sussurra composto un carabiniere del 13/o Reggimento, che di Manuele è anche vicino di casa. «L’ho sentito venerdì scorso al telefono – continua il collega - era tranquillo, come sempre, pur essendo consapevole dei rischi di ciò che stava facendo». Manuele si era trasferito nello stabile di via del Carso appena due anni fa, prima di sposarsi con Federica, che appena lo scorso autunno l’aveva reso padre del piccolo Manuel. La 28enne ha appreso della morte del marito a Collepasso, in provincia di Lecce, nella casa dei genitori. Sono stati i carabinieri a informarla. «È partita sabato scorso, l’ho accompagnata io a prendere l’aereo a Ronchi», racconta ancora il collega di Manuele, che ad Adraskan si occupava di addestrare i miliziani della polizia afghana. «Un compito d’onore, per un militare italiano. Manuele l’ho conosciuto diversi anni fa, sono stato anche suo istruttore e insieme siamo stati in missione in Bosnia: spesso gli ho rotto le scatole, sottolineando i pericoli di quello che, però, è il nostro mestiere». Il militare di Galatina è descritto dal collega come «un ragazzo eccezionale, sempre gentile, sorridente: amava il suo lavoro». Ma Manuele, nei due anni di permanenza nella palazzina di via del Carso, aveva saputo conquistarsi la simpatia anche dei vicini di casa. «Era una persona gentilissima ed educata. Spesso ci incrociavamo sulle scale e scambiavamo qualche parola assieme - sottolinea Monica Gismano - ho appreso della sua morte dalla televisione. È stato come ricevere un pugno allo stomaco. Non riesco ancora a capacitarmi». E dense di incredulità sono anche le parole di Giulio Nobili, un altro vicino di casa. «Quando l’ho visto per l’ultima volta? Ai primi di maggio. Mi ha confidato che nei quattro mesi successivi non ci saremmo visti perché stava partendo per una missione. Era perfettamente consapevole dei rischi che correva. Era un ragazzo a posto, tranquillo, che aveva una grande passione per il calcio. Mi aveva anche invitato ad andare ad assistere alla partita Udinese-Milan ma non se ne fece nulla. Ora il mio pensiero va alla moglie e al loro piccolo: questo è il momento in cui bisogna star loro vicini».
Le testimonianze fioccano. E sono tutte simili l’una all’altra. «Era l’educazione fatta persona, salutava sempre – fa eco Raffaella Biteznik, che abita nello stesso stabile - per lui esistevano solo lavoro e famiglia: era davvero un ragazzo speciale, il ritratto della felicità. Proprio ieri riflettevo con mio marito, chiedendomi quando sarebbe tornato: ci mancherà».
Nell’adiacente bar, dove spesso Manuele faceva colazione assieme alla moglie, ieri mattina non si parlava d’altro. «Che dire? È uno strazio. Era un ragazzo sempre gentile, col sorriso stampato sulle labbra – racconta la titolare, cercando di evitare che la commozione prenda il sopravvento - passava spesso di qua per un caffè o per acquistare le ricariche telefoniche. Pochi giorni dopo la nascita del piccolo, lo ha portato in bar per farcelo vedere: era orgogliosissimo. È proprio vero che se ne vanno sempre i migliori».
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