Turismo, la Croazia senza personale chiama lavoratori anche dall’Asia
La carenza di addetti colpisce tutti i Paesi dell’area, dal Montenegro alla Grecia passando per la Bosnia

I turisti si preparano a tornare in massa sulle spiagge e sui monti, colmando i “buchi” lasciati da ucraini e russi. Ma con alta probabilità i vacanzieri che trascorreranno le loro ferie quest’estate troveranno in ristoranti, bar e hotel un numero minore di camerieri, personale addetto alle pulizie, cuochi. È questo lo scenario che si sta concretizzando anche nelle “tigri” turistiche dei Balcani, dalla Croazia al Montenegro, passando per la Bosnia e arrivando giù giù fino in Grecia, dove i forfait dei lavoratori stagionali del turismo – settore vitale per l’economia nazionale - si contano a decine di migliaia.
A soffrire maggiormente dovrebbe essere la Croazia, che fino a maggio ha accolto già tre milioni di turisti – il triplo rispetto all’anno scorso - e attende ora con grande ottimismo luglio e agosto per ridare spinta al pil, nel cui ambito il turismo pesa per un buon 20%. A far inceppare la macchina del turismo croato - oltre alla guerra e alla mancanza di russi e ucraini - potrebbe essere la mancanza di lavoratori stagionali, circa diecimila, un gran numero per un Paese delle dimensioni della Croazia, secondo la stima di Veljko Ostojić, dell’Associazione del turismo croato (Hut).
A soffrire sarebbero in gran parte i piccoli imprenditori del turismo, ha aggiunto Ostojić, mentre le grandi catene «avrebbero già affrontato il problema». E lo hanno fatto anche e soprattutto puntando sull’estero e cercando di far affluire lavoratori da Paesi lontani, non solo quelli balcanici – dalla Serbia alla Bosnia, che costituiscono bacini tradizioni di impiego – ma persino dalla lontana Asia, in testa Filippine e Vietnam.
E i numeri non mentono. Sono già più di 50mila i permessi di lavoro rilasciati a stranieri quest’anno, il doppio rispetto al 2021, con turismo e costruzioni i settori più interessati dal fenomeno. E si potrebbero toccare i 100mila permessi quest’anno. Il fenomeno ha radici complesse, in Croazia. La prima è legata all’emigrazione. La Croazia, dall’ingresso nella Ue nel 2013, ha registrato una vera emorragia di lavoratori, con circa 250mila espatriati alla ricerca di occupazione meglio remunerata.
Chi è invece rimasto, dopo la pandemia, ha richieste diverse che in passato. Ed è il secondo fattore: si chiama “Great Resignation”, fenomeno che sta toccando anche la Croazia. «Se le condizioni di lavoro» e soprattutto i salari non sono adeguati, allora «la gente cambia velocemente impiego» e snobba in particolare il turismo, ha spiegato l’agenzia France Press, che ha sentito Natasa Kacar, titolare di un’agenzia di collocamento specializzata nel settore turistico. «Chiunque offre uno stipendio decente e buone condizioni» di lavoro «non ha problemi a trovare addetti», ha aggiunto, mentre un altro imprenditore del settore ha puntato l’accento «sulle condizioni» in cui operano i lavoratori stagionali. Quelle sarebbero fondamentali, perché sempre più croati vogliono lavori che non li sfianchino e che permettano loro una vita privata decorosa.
La Croazia non è certo un’eccezione. Molto peggio sta andando in Grecia, Paese dove il turismo vale il 18% del pil e dà lavoro a quasi un milione di persone, tenuto conto anche dell’indotto. Quest’anno all’appello ne mancano però almeno 50 mila, ha stimato di recente la Confederazione greca del turismo, sui 250mila che servono solo negli alberghi ellenici.
Ma c’è carenza di lavoratori anche in Bosnia, dove 1.500 persone emigrano ogni mese. E nel piccolo Montenegro ne mancano circa mille, un numero consistente per le dimensioni del Paese, in particolare «cuochi, camerieri, personale delle pulizie», ha sottolineato il presidente dell’Associazione degli albergatori di Budva, Aleksandar Jovanovic. E i lavoratori, ha specificato l’economista Rade Ratkovic, «abbandonano in massa, non accettando più un destino di due-tre mesi di lavoro per magri salari». E non solo in Montenegro.
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