Tumori sospetti al Burlo, Telesca avvia un’indagine
La Regione avvierà un’indagine al Burlo per verificare le cause dei tumori registrati tra il personale dell’ospedale e una possibile relazione con l’irradiatore di sangue, sospettato di emettere radiazioni. «Non ero a conoscenza di quei fatti - dice l’assessore alla Salute Maria Sandra Telesca - ora, rispetto a quanto è emerso, dobbiamo fare chiarezza».
Almeno una decina i casi, di cui due decessi, che risulterebbero tra i tecnici e i biologi che a partire dalla fine degli anni ’80 hanno usato lo strumento, oltre ai medici e infermieri in servizio al Pronto soccorso. Reparto che si trova proprio sopra allo scantinato in cui è custodito l’apparecchio. Sull’ipotesi di una nesso tra le malattie e il dispositivo, dotato di una sorgente radioattiva a base di cesio, sono già partiti vari accertamenti interni che hanno dato esito negativo, incluse le analisi dell’Arpa. Una rilevazione dei dosimetri ha però segnalato una lieve perdita di radiazioni avvenuta tra ottobre e dicembre, come documentato da una relazione del Dipartimento interaziendale dei Medicina Trasfusionale. Ma successivi controlli hanno escluso la pericolosità dell’irradiatore, confermando l’integrità dello strumento. Uno studio sull’incidenza delle patologie è però attualmente in corso all’Istituto di Igiene ed Epidemiologia clinica dell’Azienda ospedaliero universitaria di Udine. Ma la Regione vuole vederci più chiaro. «È evidente che è un tema molto tecnico - spiega Telesca - e sono già state fatte delle indagini da cui non è emerso alcun nesso tra le malattie e l’irradiatore. Ora devo analizzare le relazioni e chiederò un ulteriore approfondimento a livello di assessorato. Fermo restando che la sicurezza sui luoghi di lavoro è responsabilità delle aziende, con tutta una filiera di figure, la Regione farà le sue verifiche. Il problema, tuttavia, non mi era stato sottoposto. Ora che mi è noto chiederò tutta la documentazione».
Per la sua indagine la Regione si servirà anche di altri consulenti esterni, fa sapere l’assessore. «Già, perché se c’è anche solo un dubbio minimo dobbiamo fugarlo. Per l’accertamento - aggiunge l’esponente della giunta Serracchiani - dovremo acquisire anche la documentazione sulle persone ammalate».
Sulla vicenda, intanto, si fa ancora sentire l’Azienda ospedaliera di Trieste, che ha in gestione l’irradiatore. In un documento richiesto dalla Cgil in questi giorni, la direzione rassicura: sull’apparecchio vengono eseguiti regolarmente i controlli previsti dalle normative, con l’utilizzo di camere di ionizzazione, test sulla contaminazione e dosimetri ambientali. Tutte verifiche che, negli anni, «hanno dato esito favorevole». Per i valori anomali evidenziati a fine marzo per il periodo ottobre-dicembre «sono stati immediatamente eseguiti controlli in loco che hanno dato esito negativo per contaminazione ambientale». Come misura cautelativa, tuttavia, l’ospedale aveva deciso di interrompere l’attività dello strumento, riattivato poi dal 1 maggio, «per richiedere una manutenzione straordinaria». Un intervento, si legge nel carteggio, «che ha confermato la perfetta efficienza e integrità e l’assenza di contaminazione». In conclusione, secondo l’Azienda ospedaliera, «i valori anomali riscontrati non sono da mettere in relazione con un malfunzionamento dell’apparecchiatura».
Anche la Cgil Fp si fa avanti: «Non ci risulta che tra gli operatori ci sia un clima di psicosi, anche perché la situazione era nota da tempo. I sindacati già anni fa avevano richiamato l’attenzione delle direzioni, ottenendo una prima indagine epidemiologica - rimarca la sigla in una nota -. Recentemente sono state condotte anche determinazioni quantitative di possibili perdite dall'apparecchiatura per le irradiazioni. Finora non ci sono evidenze né epidemiologiche né causali, per cui al momento ci atteniamo alle risultanze e ai fatti, che non inducono ad allarmismi. Il sindacato continua a vigilare, come sempre avviene per la sicurezza nei posti di lavoro». La Cgil, tuttavia, allarga lo sguardo: «Purtroppo ci sono altre concause note per l’insorgenza dei tumori, comprovate dalle evidenze scientifiche - afferma il sindacato -. La pratica dei turni notturni tuttora non riconosciuti in sanità come lavoro usurante, lo stress dovuto ai ritmi di lavoro, specie nei reparti ad alta intensività di cure, l’età media degli operatori front-line, età in continua e inesorabile crescita anche a causa del prolungamento dell’età pensionabile». Il Pd locale si accoda: «Le allarmanti notizie per fortuna non mostrano nessuna consistenza reale - sottolineano il capogruppo in Consiglio comunale Marco Toncelli e il vice Aureo Muzzi -. Riteniamo doverosi tutti gli accertamenti già svolti e quelli che in futuro si renderanno necessari, assieme alla massima attenzione e trasparenza da parte delle autorità competenti e anche dei mezzi d’informazione».
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