Tumori sospetti al Burlo, il giallo del macchinario
Chiedete un po’ in giro, così tanto per capire, nei corridoi e nelle corsie. Cambieranno presto discorso. Al telefono riattaccheranno in fretta e furia. Oppure vi guarderanno fissi, come si guarda quando non si sa cosa rispondere. Burlo, via dell’Istria. Una decina di casi di tumore tra il personale tecnico e del Pronto soccorso. Due morti. E un macchinario sospettato di emettere radiazioni.
Lo strumento è gestito dall’Azienda ospedaliera e si trova in una sorta di scantinato chiuso a chiave, esattamente sotto il reparto di astanteria in cui lavorano i medici e gli infermieri che si sono ammalati. È un irradiatore, un marchingegno da laboratorio utilizzato per trattare le cellule del sangue dei pazienti immuno-compromessi, soprattutto per gli oncologici e i trapianti di midollo. È grande quanto un frigorifero ma è zeppo di piombo e pesa più di quattrocento chili. Si trova al Burlo dagli anni Ottanta. Ha una sorgente radioattiva a base di cesio.
L’ipotesi di una correlazione tra l’irradiatore e i tumori è una storia vecchia, quasi una leggenda dell’ospedale, rimasta a lungo nel silenzio. Ma ora viene a galla per tre fatti. Il primo: il numero di quanti hanno preso il cancro è troppo alto. Inspiegabile. Secondo: la dirigenza ha avviato da tempo verifiche, che comunque non hanno dimostrato nulla di scientifico. Terzo: il Burlo ha ammesso perdite di radiazioni. Questo è scritto nei documenti ufficiali dell’ospedale che “Il Piccolo” ha acquisito.
La vicenda comincia ad assumere contorni dell’indagine un anno e mezzo fa, quando il Servizio di prevenzione e protezione aziendale dell’Irccs viene informato del numero di tumori. L’ospedale si muove con molta cautela per non ingenerare inutili allarmismi che, stando alle analisi condotte fin qui, in effetti non hanno alcuna sussistenza. Tuttavia i numeri hanno proporzioni impressionanti: su 6 addetti che dall’87 utilizzavano lo strumento, di cui una parte ora è in pensione, 5 si sarebbero ammalati. Usiamo il condizionale perché non siamo in grado di citare carte che lo possano dimostrare ma le testimonianze raccolte dicono esattamente questo. E trovano riscontri incrociati: di queste 6 persone, 2 erano biologhe che si sono ammalate di tumore al seno. Una ora ha anche un cancro al colon. Un altro tecnico ha un tumore alla prostata, un altro all’ipofisi. Un altro, infine, ha accusato un neurinoma del nervo acustico, non maligno, e ha già subìto vari interventi chirurgici. I sintomi iniziano a manifestarsi una decina di anni fa, quando tutti avevano un’età compresa tra i 40 e i 50 anni. Altri casi, troppi per essere considerati “normali”, vengono riscontrati tra chi lavora in Pronto soccorso, il reparto che si trova sopra lo scantinato in cui è chiuso l’irradiatore. Qui i dati divergono: qualcuno parla di 5 ammalati, altri di 6 o 7. Stando alle ricostruzioni si tratterebbe di due cancri al colon, uno alla mammella e due alla tiroide. Un medico e un’infermiera, uno con il tumore al colon e l’altra al seno, sono morti. Questo, almeno, stando ai racconti di chi lavora dell’istituto di via dell’Istria.
Nel 2014 partono le verifiche condotte dal Servizio di prevenzione e protezione aziendale che fa capo al dottor Giuliano Pesel. Il medico coinvolge anche l’Arpa, ma nessuno riesce a dare spiegazioni: lo strumento risulta integro e incapace di rilasciare alcunché di nocivo. Fino a quando gli strumenti di controllo – dei dosimetri – si accorgono di una perdita. In un verbale del primo aprile, dunque un mese fa, il Dipartimento interaziendale di Medicina Trasfusionale diretto dal dottor Luca Mascaretti documenta un “guasto”. «Il dosimetro posto sopra (all’irradiatore, ndr), relativamente al trimestre ottobre-dicembre è stato analizzato nei giorni scorsi e ha dato un segnale di lieve perdita. Quello a distanza non ha rilevato nulla».
C’è una perdita, un’emissione di radiazioni, seppur lieve. Questo sostiene il Dipartimento nella sua relazione, che segue una riunione intercorsa con i dipendenti del Pronto soccorso, comprensibilmente preoccupati. Il macchinario viene quindi fermato per la dovuta manutenzione, ma è chiaro che nel periodo in cui sono stati riscontrati i dati sballati, quindi ottobre-dicembre e presumibilmente fino allo stop, lo strumento è stato sempre utilizzato. E ora è di nuovo in funzione, anche perché i controlli dei tecnici confermano che l’attrezzo è integro. Da dove derivano quindi le perdite? In questa storia di misteriose malattie e laboratori, c’è chi sospetta addirittura un sabotaggio. Che qualcuno abbia sottoposto il dosimetro a radiazioni per alterare i dati.
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