Tumori, nell'Isontino tempi triplicati per un esame istologico

A Monfalcone c’è un solo anatomopatologo. E Patrizia Borioli, ex vicepreside alla scuola Randaccio aspetta da 3 settimane di sapere se dovrà sottoporsi o meno al quarto intervento

 

L’attesa dell’esito di un esame istologico da parte dell’anatomopatologo per un malato di tumore è un periodo di grave turbamento. È un po’ come l’ansia con cui si aspetta una sentenza inappellabile, un periodo prolungato durante il quale progetti, speranze e amori restano sospesi, sopraffatti da dubbi, angoscie, pessimismo nero, incapacità di guardare al di là di quel foglietto su cui, con astrusa terminologia medica, c’è scritto il proprio futuro.

Ebbene, negli ospedali dell’Ass Isontina, nel giro di due anni, i tempi per avere questa risposta si sono triplicati o addirittura quadruplicati. Con il risultato che il malato, per quanto ottimista e pieno di speranze, è costretto a vivere in una sorta di limbo in cui aspettative, programmi, affetti entrano in una sorta di stand-by.

Qui non si parla, sia chiaro, di malasanità. Casomai di malapolitica sanitaria che impone regole e numeri precisi agli ospedali finalizzati al contenimento dei costi, alla razionalizzazione del personale. E sono medici - in questo caso l’unico anatomopatologo in servizio - e paramedici, oltre naturalmente che i pazienti, a pagarne le conseguenze.

LA STORIA

A subire sulla sua pelle questa situazione è un’insegnante in pensione monfalconese, Patrizia Borioli, fino a due anni fa vicepreside alla media Randaccio.

«Il 28 gennaio 2010 sono stata operata all’ospedale di Gorizia - racconta - per un tumore al seno, ai primi di febbraio avevo la risposta dell’esame istologico e, visto l’esito, il 9 febbraio ho subito, come da prassi, un secondo intervento. Ho trovato professionalità e umanità in tutti gli operatori, ho seguito il protocollo di rito e tutto si è risolto per il meglio. Esattamente a due anni di distanza il problema si è ripresentato all’altro seno, per cui il 17 gennaio 2012 di nuovo un intervento. A tutt’oggi, ormai sono trascorse tre settimane, non ho ancora avuto alcuna risposta sull’esito dell’esame istologico per cui non so ancora se dovrò sottopormi a un altro intervento oppure no.

«Il chirurgo che mi ha visitata a una settimana dall’intervento - continua la donna - mi aveva preannunciato che i tempi di attesa, a distanza di due anni, si erano allungati e che comunque sarei stata contattata. Bene, in due anni abbiamo davvero fatto dei passi avanti.

«Forse solo chi ci è dentro riesce a comprendere - aggiunge Patrizia Borioli - cosa significhi, per un malato oncologico, aspettare una risposta di questo tipo. Bisogna aver pazienza e tirar fuori la grinta, mi sono sentita dire da tutti due anni fa, e anche oggi l’ho fatto, ho dimostrato di avere, mi si passi l’espressione, le palle. Ma c’è un limite a tutto e mi domando se chi ha la responsabilità di queste, vi assicuro estenuanti e emotivamente e psicologicamente devastanti attese, se ne rende conto».

«Immagino già gli addetti ai lavori che leggeranno questa mia esternazione, o meglio questo mio sfogo per questo stato di cose, palleggiarsi le responsabilità: superficialità, disorganizzazione, colpa della politica, no dell’ospedale, no dei medici, no dei sindacati, e chi più ne ha più ne metta. Resta il fatto che chi si trova in questa condizione avverte un vero e proprio senso di rabbia e d’impotenza. Che dire? Questa è la penosa realtà con la quale dobbiamo confrontarci ormai quotidianamente. Siamo dei codici a barre con scadenza più o meno indicata».

L’AZIENDA SANITARIA

Scelte che dipendono dalla politica sanitaria, lasciano capire all’interno dell’Ass Isontina, riservandosi una risposta: numeri che non battono, quindi, tagli, risparmi. L’azienda-sanità che ha come primi obiettivi quelli di ottimizzare le risorse, evitare gli sprechi, conti da far quadrare, parametri da rispettare. Principi sacrosanti - aggiungiamo noi - per chi costruisce navi ma non per chi si trova a gestire ospedali.

Ma è giusto che a subirne le conseguenze siano le persone più fragili, quelle che si ritrovano in attesa di una “sentenza” dalla quale dipendono la propria vita futura? È giusto che al rispetto dovuto a chi sta attraversando il dramma della malattia e vorrebbe risposte rapide e certe siano anteposte parole come razionalizzazione, ottimizzazione, parametri?

Patrizia Borioli, che nel frattempo sta ancora aspettando di sapere se il tumore per lei è ancora una minaccia e se dovrà rioperarsi o meno per la quarta volta dà un consiglio al nostro Sistema sanitario: quello di eleggere opportunamente a proprio motto gli ultimi versi di un noto Canto leopardiano: «Umana prole cara agli eterni! Assai felice se respirar ti lice d’alcun dolor: beata se te d’ogni dolor morte risana».

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