Tudjman-Miloševi„, due “amici” di guerra

Le rivelazioni in un libro dell’ex capo di Stato Mesic. Un “telefono rosso” li teneva sempre collegati

TRIESTE. «Avete mai sentito il defunto presidente croato Franjo Tudjman parlare male del defunto presidente serbo Slobodan Miloševic e viceversa?» Questa emblematica domanda retorica è stata rivolta ai presenti dall’ex presidente della Repubblica di Croazia, Stipe Mesic durante la presentazione della traduzione in russo del suo libro “Come è caduta la Jugoslavia”. Che tra Tudjman e Miloševic ci fosse una sorta di “lìason” perversa non è certo una novità. Ma che a confermarlo sia uno dei protagonisti di quei bui anni di guerra diventa assolutamente fondamentale nella ricerca della verità storica di quei tremendi anni che hanno insanguinato i Balcani.

Il “grande accordo” Tudjman e Milosevic lo fecero il 25 marzo del 1991, prima della dichiarazione di indipendenza della Croazia (giugno 1991). I due si incontrarono al castello di Karadjeordjevo in Serbia e si spartirono la Bosnia-Erzegovina secondo un criterio puramente etnico e tagliando fuori i bosgnacchi dal “gioco”. Celebre la salvietta di carta su cui i due disegnarono i nuovi confini di quella che sarebbe diventata la ex Jugoslavia.

Ora Mesic racconta che tra i due presidente di Serbia e Croazia i contatti anche durante il periodo di guerra furono quasi giornalieri e avvenivano attraverso una linea telefonica dedicata, una sorta, dunque, di “telefono rosso”, installata già nel 1991 da tecnici serbi.

Mesic ha raccontato che nel 2000, quando venne eletto presidente della Croazia, quella linea telefonica era ancora in funzione. «Avrei voluto chiamare anch’io Miloševic - ha detto - ma non sono riuscito nell’intenzione perché non conoscevo la password». L’insegnamento che si può trarre? «Coloro i quali progettano la guerra - ha risposto Mesic - collaborano mentre quelli che nulla sanno muoiono». Secondo Mesic il principale artefiche della guerra fu Miloševic, una guerra, a detta dell’ex presidente croato, che non fu né etnica, né di religione ma semplicemente una guerra di conquista.

«Nella storia recente dell’Europa - ha affermato ancora Mesic - tutte le guerre sono state simili a quella nella ex Jugoslavia con l’aggressione che veniva giustificata come un intervento per la tutela delle minoranze nel Paese che veniva invaso. Così Miloševic ha giustificato il suo progetto di Grande Serbia con la necessità di difendere i serbi in Croazia e in Bosnia-Erzegovina». E lo stesso ragionamento venne fatto da Tudjman nei confronti dei croati presenti in Bosnia. E come ha iniziato con una domanda retorica così Mesic ha concluso il suo intervento: «Dopo tutti i combattimenti che ne sono scaturiti dopo oltre 100mila morti i confini però non si sono spostati di un millimetro. C’è bisogno di una dimostrazione migliore per affermare che la guerra non paga?».(m. man.)

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