La telefonata trappola dei truffatori arrestati a Trieste: «Suo figlio è in arresto, prenda ciò che ha»

Il pressing sulle vittime senza dare loro il tempo di pensare: fanno credere che i gioielli e il denaro verranno poi restituiti

Maria Elena Pattaro
Le intercettazioni dei carabinieri e alcuni stralci della telefonata
Le intercettazioni dei carabinieri e alcuni stralci della telefonata

«Suo figlio è in arresto, racimoli le cose che ha per pagare la cauzione e me le comunichi qui al telefono. Io le mando un assistente». L’uomo che parla al telefono è un finto maresciallo dei Carabinieri. La donna che risponde è una delle tante anziane triestine truffate con la tecnica del falso incidente. La chiameremo Anna, nome di fantasia per tutelarne l’identità. Nell’intercettazione di un minuto e 20 secondi, confluita nel fascicolo d’inchiesta e divulgata dall’Arma come esempio del modus operandi della banda, c’è una frase che più di tutte esprime la sua angoscia: «Ho paura a star sola in sta casa».

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Incalzata dal malvivente, Anna ansima nella cornetta, si sforza di fare l’inventario di tutti i gioielli che ha in casa per pagare la fantomatica cauzione che permetterà a suo figlio di tornare in libertà. Il falso carabiniere le ha appena fatto credere di averlo arrestato perché l’uomo ha causato un grave incidente stradale. Lei è sola in casa e il panico ha già preso il sopravvento.

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Uno dei truffatori

L’anziana singhiozza, confessando i suoi timori. L’esattore è già in viaggio verso casa sua. Fra qualche minuto si presenterà alla porta per ritirare la refurtiva. Ad Anna, in realtà, è andata bene perché ad ascoltare quella conversazione c’erano anche i veri Carabinieri, che si sono presentati all’appuntamento e hanno arrestato in flagranza l’esecutore materiale.

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È uno dei dieci finiti in manette nell’operazione “Fumo del Vesuvio”. Il copione recitato è sempre lo stesso e fa leva sull’emotività delle vittime, colpite nei loro affetti più cari. Anna è rimasta impigliata nelle reti a strascico gettate dalla banda. Se non fosse stato per gli investigatori, sicuramente avrebbe perso tutti gli ori e i preziosi che teneva in casa. I truffatori, del resto, non si improvvisano: i telefonisti sono abilissimi nel carpire la fiducia delle vittime e vestire i panni di avvocati, forze dell’ordine o parenti delle vittime. Nel caso di Anna, il falso militare le ha fatto credere che il figlio fosse in cella dopo aver provocato un incidente. Servono soldi, tanti, per la cauzione. Se non ha contanti, vanno bene anche i gioielli.

«Io sono qui al telefono, racimoli le cose e me lo comunichi in tempo reale», le ordina il falso militare. «Bon, subito? O mi torna a telefonare?», chiede l’anziana, colta alla sprovvista. «Signora, lo devo comunicare adesso, mi faccia la gentilezza di racimolare adesso che io lo comunico di conseguenza alla sede», replica il truffatore.

Metterle fretta fa parte della tattica: più la incalza, meno tempo le resterà per pensare e insospettirsi. «Verbalmente non posso comunicare niente se lei non mi dà un inventario – insiste l’uomo –. Prenda le cose che può mettere a disposizione e me lo comunichi». Nonostante l’agitazione, l’anziana si sforza di elencare i suoi averi: «Le fedi, ho due anelli, uno era di fidanzamento, due collane e un ciondolo. Ho una medaglia, ecco. E l’orologio d’oro».

Il telefonista insiste per sapere la marca. L’inventario non serve soltanto a pressare la vittima e a dare una parvenza di credibilità alla procedura. È funzionale anche al controllo dei proventi. L’organizzazione vuole essere sicura che gli esattori non trattengano nulla per sé.

«Signora, le chiedo di precisarmi tutto nei minimi dettagli – batte il chiodo il telefonista, dando alla donna la falsa speranza che gli ori le verranno restituiti –. In quanto queste cose le tornano indietro, io devo segnare tutto passo passo. Il tempo tecnico che lei racimola e io le mando un assistente...».

«Stiamo perdendo tempo. Mio figlio è in stato di arresto, vorrei sapere di lui», implora la donna. «L’assistente sta arrivando presso la sua abitazione – è la risposta quasi spazientita – manca l’ultima cosa per risolvere la questione: mi fornisca il suo codice fiscale». A quel punto Anna scoppia in lacrime: «Ho paura a star sola in sta casa». —

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