Triestina da una vita, extracomunitaria per legge

Da 19 anni in Italia, ora la vogliono espellere. Milica Novakovic, 26 anni, dovrà tornare in Serbia se a gennaio non avrà un lavoro
A sentirla parlare non diresti mai che è straniera. Nella pronuncia, nella cadenza non c'è alcun dettaglio in grado di tradire la sua condizione di extracomunitaria e far intuire le sue origini serbe. Eppure è dalla Serbia che Milica - 26 anni e una laurea in Pubblicità e comunicazione conseguita da poco - proviene. E in Serbia rischia ora di essere rispedita. Nonostante viva da 19 anni a Trieste con la famiglia. Nonostante qui abbia frequentato le scuole e costruito le amicizie. Nonostante insomma si senta italiana a tutti gli effetti e consideri Belgrado, città in cui è nata ma da cui si è allontanata bambina, semplicemente «una seconda casa».


Colpa degli effetti di una legislazione che, nel tentativo di ridurre l'onda d'urto dei flussi migratori, ha finito per mettere tutti gli extracomunitari sullo stesso piano: gli ultimi arrivati e quelli invece, come Milica Novakovic, che in Italia ci sono arrivati, e si sono integrati, da un pezzo. Entrambi, per mettersi in regola, devono dimostrare di avere un lavoro. E pazienza se per un neolaureato, italiano o straniero che sia, riuscire a trovare un impiego al giorno d'oggi è impresa tutt'altro che semplice. Niente lavoro, dice la legge, niente permesso di soggiorno. E chi non ce l'ha, se sceglie di rispettare le regole, non può far altro che tornare in patria, pena l'ingresso in clandestinità che ora costituisce reato.


Avere alle spalle una famiglia che risiede da una vita in Italia non fa alcuna differenza. Il padre di Milica lavora qui dagli anni '70: in passato ha diretto un'importante azienda dell'ex Jugoslavia, oggi è a capo di una ditta di import-export. In virtù di quest'attività lui e la moglie hanno ottenuto la carta di soggiorno che, dopo il primo rinnovo, ha validità illimitata. Non hanno invece mai chiesto la cittadinanza italiana: un po', forse, per ragioni affettive, un po' perché, probabilmente, a loro non serviva. Servirebbe tanto invece alla figlia che, però, non riesce ad ottenerla.


«Per avere la cittadinanza servono due requisiti: la residenza da almeno dieci anni e il lavoro - spiega la ragazza -. Io però, fino a poco tempo fa, studiavo all'Università e un lavoro non ce l'avevo. Per fare la richiesta ho dovuto attendere il mio primo contratto, firmato nel 2007. L'anno successivo, dopo 12 mesi di contributi versati, ho presentato la domanda che, in teoria, dovrebbe ottenere risposta entro due anni. In pratica invece, i tempi sono molto più lunghi: adesso, infatti, stanno appena vagliando le pratiche arrivate nel 2006».


Di questo passo, la cittadinanza di Milica arriverà non prima del 2012. Ma lei, in quel periodo, potrebbe non esserci già più. L'attuale permesso di soggiorno - l'unico pezzo di carta che le consente di restare regolarmente a Trieste - ha una durata solo di pochi mesi. «Scadrà il 21 settembre prossimo. E visto che il mio attuale lavoro, un contratto da apprendista in uno studio di commercialisti, termina a dicembre, il permesso mi sarà rinnovato solo per tre mesi, l'esatta durata dell'apprendistato».


Questo significa che se, disgraziatamente, il primo gennaio Milica non dovesse trovare un nuovo impiego, si vedrebbe recapitare a casa il decreto di espulsione. Espulsione che nemmeno dimostrando di vivere a carico dei suoi potrebbe evitare. «Per la legge italiana, nel momento in cui compi 18 anni, diventi un nucleo autonomo e devi dimostrare di essere indipendente. I permessi di soggiorno per motivi familiari che mi sono stati rilasciati quando frequentavo le scuole, sono venuti meno poco dopo il compimento della maggiore età. Al pari del permesso per "attesa occupazione" che mi ha consentito di frequentare e concludere l'Università (dove si è laureato con 110 ndr)».


Milica, insomma, non ha altri appigli normativi: o trova subito un nuovo lavoro - magari a tempo indeterminato come la sorella che, unica della famiglia, ha ottenuto la cittadinanza italiana - o torna in Serbia, perdendo così tutti i precedenti anni di residenza. «Gli amici, quando racconto la mia situazione, sgranano gli occhi - racconta la giovane -. Per loro sono triestina a tutti gli effetti. Ho studiato qui, conosco la letteratura italiana mentre non so nulla di quella serba. Sia chiaro, non rinnego le mie origini. Amo Belgrado e penso sia una città ricca e stimolante. Il punto è che la considero solo una seconda casa. La mia città è Trieste. Qui mi piacerebbe votare, fare un master e trovare un lavoro in linea con i miei studi. Invece devo accettare il primo impiego che capita per non perdere il permesso di soggiorno. Provo rabbia quando, per avere informazioni sui documenti, devo andare nei centri per immigrati e fare lunghe file assieme a persone che non sanno tre parole in italiano. Non ho nulla contro di loro che, sicuramente, hanno avuto una vita meno fortunata della mia. Io però - conclude Milica - vivo qui da quasi vent'anni e credo di avere una storia diversa».

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