Trieste, via Torino chiede il numero chiuso «Troppi locali, stop alle licenze»

A due anni dal boom la strada simbolo della movida triestina comincia a fare i conti con affari e clienti in calo. La colpa viene data all’eccessiva concorrenza. «La quantità di bar e ristoranti è diventata imbarazzante»

La Trieste da bere luccica. Ma inganna. In via Torino, dietro alle bollicine di Prosecco e agli aromi del Mojito, si scorge ormai un tessuto imprenditoriale a rischio. «Siamo in troppi», lamentano i gestori. L’angoscia di chi ha investito tanto e gode di soddisfacenti incassi. Ma non sa quanto e se durerà.

Il boom del settore, favorito dal decreto Bersani che ha liberalizzato le licenze, è sotto gli occhi. Tra piazza Venezia e piazza Hortis, come lungo l’asse che prosegue fino al Canale di Ponterosso, passando per Cavana, piazza Unità e piazza della Borsa, nell’arco di tre d’anni hanno alzato le serrande ristoranti, pizzerie e bar per ogni gusto e tasca. Un fenomeno alimentato da una buona dose di quattrini del Sud. Molto si deve alle riqualificazioni urbanistiche e le pedonalizzazioni del centro, oltre che alla rampa di lancio del turismo. Un anno fa le associazioni di categoria avevano calcolato che dal 2013 la città aveva assistito a una cinquantina di aperture tra cambi di gestione e ristrutturazioni. Fori commerciali che ospitavano uffici e negozi trasformati in locali dove trascorrere la serata.

La movida pulsa soprattutto in via Torino. Un bar ogni metro. Tavolini e sedie che quasi si accavallano. Centinaia di giovani. Anche i vecchi del posto si sono adattati ai nuovi ritmi. «Per reggere la concorrenza ho allungato l’orario di lavoro -, racconta Luciano Candelli della “Motonave”, che con 34 anni d’attività sul groppone è pronto a cedere il timone -. Prima chiudevo dopo cena, adesso continuo fino all’una». Al suo posto sbarcheranno i gestori di Caprese, quelli di piazza della Borsa, riversando altri clienti sul quel pezzo di strada.

Ecco il problema: il sovraffollamento di pubblici esercizi in un pugno di vie a fronte di una popolazione, quella triestina, che notoriamente non cresce. Se spunta un nuovo bar dove ce ne sono già altri, la fetta di incasso si restringe per tutti. E nessuno in realtà è pronto a scommettere interamente le proprie fiches sulla clientela straniera, che si concentra dalla primavera alla Barcolana e nelle festività natalizie. Con il risultato che, in mancanza di eventi, mostre e congressi, per tre-quattro mesi all’anno si va in affanno. Un eventuale raffreddamento degli afflussi turistici rischierebbe insomma di mietere non poche vittime nella ristorazione. Non manca peraltro chi è già in seria difficoltà economica, anche se nessuno dei diretti interessati lo ammette. C’è un'altra variabile. Quella delle “mode”. Basta che il giro di giovani si sposti di colpo altrove per mandare in crisi via Torino e Ponterosso. In passato è accaduto: se un anno andava forte il Ghetto, ne pagavano le conseguenze via San Nicolò e il Viale. O viceversa. Funziona così. Il comparto comunque al momento ha creato migliaia di posti di lavoro, tanto che si fa addirittura fatica a trovare bravi camerieri, barman e cuochi. Con il risultato che molta manodopera è straniera. Una cerniera per l’integrazione. «È vero - afferma Massimo Visintin di “Puro”, in via Torino -, da me su dieci dipendenti solo due sono triestini. E sono d’accordo sulla questione del sovraffollamento di questa zona, ma per quel che ci riguarda abbiamo confermato gli incassi dell’anno scorso».

Di fronte, al Dolomitiko (ex Romi), vince l’ottimismo. Orian Frasheri e Pasquale Sorrentino si sono appena tuffati in una nuova avventura imprenditoriale. «La concorrenza si regge se si riqualifica l’esistente - osservano - come abbiamo fatto noi, e non con altri posti. Crediamo quindi che non si dovrebbero più concedere licenze». Francesco Minucci della Cantina del Vescovo allarga le braccia. «Qui c’è una quantità di locali imbarazzante - commenta - per non parlare delle contraddizioni con cui abbiamo a che fare: c’è la liberalizzazione delle licenze, ma bisogna fare i conti con i mille ostacoli sulla musica e i bicchieri di vetro». Peppe Di Napoli, con la sua “Antica Sartoria”, guarda il lato positivo: «C’è il boom e va bene, poi bisogna capire se la città manterrà il trend». Tradotto: mentre la ristorazione allarga l’offerta, la clientela di triestini resta tale e quale. Sembra andare forte Draw, anche grazie all’ampliamento degli spazi. «Il mercato è sovradimensionato - ammette il titolare Walter Gustin -, ma in questo momento la massa è un vantaggio perché è qui, su questa strada, che si aggrega la vita notturna. Io però non ho riscontrato un calo di affari. Certo, via Torino è strana: si lavora di sera, quasi niente a pranzo. Il motivo? Non ci sono uffici e la poca gente che arriva da fuori città la vediamo per pochi mesi». Gustin gestisce pure 040 e Antico Panada, in Ponterosso. Il Canale è un’altra giungla di una quindicina di pubblici esercizi, in mezzo ai residenti inferociti per il chiasso nonostante i regolamenti. Intanto di notte si brinda, ora che il bicchiere di tutti è ancora mezzo pieno.
 

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