Trieste: Ursus a rischio, i fondi non bastano

La Guardia costiera ausiliaria lancia l’allarme: i 150 mila euro della Regione insufficienti per attuare il restauro dello scafo

È a rischio il futuro dell’Ursus. La minaccia viene dall’esiguità dei finanziamenti che avrebbero dovuto consentire il completo ripristino dello scafo varato al Cantiere San Marco cent’anni fa, alla fine di gennaio del 1914. O si trovano nuovi fondi o la stessa sopravvivenza di quella che fu la più potente gru galleggiante del Mediterraneo è in forse. Lo dice con preoccupazione Fabrizio Pertot, presidente della Guardia Costiera ausiliaria, l’associazione proprietaria di uno dei simboli della città e della sua tradizione cantieristica e portuale. Ecco la situazione. «I 150 mila euro che la Regione ha destinato alla ristrutturazione dello scafo dell’Ursus non sono sufficienti a pagare i lavori. O riusciamo a trovare ulteriori finanziamenti o saremo costretti a rinunciare a questi 150 mila euro di denaro pubblico già stanziato. Non possiamo più attendere».

Il pontone gru avrebbe dovuto entrare nel bacino numero 3 del San Marco qualche settimana fa per essere sottoposto a secco a una serie di lavori, i principali dei quali riguardavano lo scafo. Ne aveva dato l’annuncio la stessa Guardia Costiera ausiliaria. Invece l’Ursus continua a essere stancamente ormeggiato a una banchina del Porto Vecchio perché i “conti” non tornano. I 150 mila euro non bastano: ne servono almeno altri 35-40 mila. «La Regione ci ha finanziato ma la somma stanziata verrà erogata nel corso di dieci anni. Dunque - spiega Fabrizio Pertot - dovremo farci carico degli interessi passivi che maturano di anno in anno e che le banche ovviamente ci chiedono per erogare il mutuo necessario ad avviare i lavori di ristrutturazione. Ma non basta. Sul costo di questi lavori grava anche l’Iva, un ulteriore salasso del 22 per cento sulla spesa totale. Ecco perché siamo in difficoltà e cerchiamo di uscire da questa impasse...»

Sull’Ursus e sulle sue potenzialità attrattive a livello nazionale si è concentrato di recente un duplice interesse. Si sono fatti avanti gli organizzatori del Giro d’Italia che vorrebbero usare la gru galleggiante ormeggiata davanti a piazza dell’Unità come piattaforma pubblicitaria per le premiazioni e per altri incontri collegati all’ultima tappa. Il Giro si concluderà il primo giugno: dunque i tempi per avviare la ristrutturazione dello scafo sono stretti, strettissimi. I giorni di lavoro previsti in cantiere vanno dei 15 ai 20.

La seconda manifestazione di interesse per l’Ursus è stata avanzata da Mitja Gialuz, presidente della Società velica di Barcola e Grignano. Con il suo direttivo – ma anche con quello della Guardia Costiera Ausiliaria - Mitja Gialuz sta mettendo a fuoco una serie di progetti per fare della centenaria gru uno dei punti di attrazione della regata che viene disputata la seconda domenica di ottobre. Sia per i concorrenti, sia per il pubblico e gli sponsor. In questo caso i tempi di definizione del progetto sono più rilassati ma nemmeno tanto. Certo è che il ripristino totale dei doppifondi dello scafo è indispensabile per avviare ogni iniziativa. Oggi le lamiere mostrano i segni della “fuga” del 2 marzo 2011, quando il pontone strappò le cime vecchie a lungo straziate dalle raffiche di bora che soffiava a 170 chilometri l’ora. Lasciò senza nessuno a bordo la testata del molo quarto, toccando leggermente la banchina. Una “ferita” che i tre anni d’attesa hanno cronicizzato.

Va aggiunto che i vertici di Fincantieri, così come quelli della Cartubi, hanno “limato” i costi dell’intervento all’interno del bacino 3, riconoscendo implicitamente al rifacimento della carena e dei doppifondi una valenza storica e di archeologia industriale. Per arrivare al San Marco dall’attuale ormeggio del Porto Vecchio sarà necessario l’intervento di almeno un rimorchiatore della Tripmare. Ma anche in questo caso la disponibilità della società non mancherà. Lo dimostra proprio l’intervento che nel marzo 2011 salvò il pontone che andava alla deriva spinto dalle raffiche di bora. I costi di quel salvataggio sono stati ridotti all’osso e ne è stato autorizzato il pagamento a rate, peraltro ancora in corso.

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