Trieste, un pensionato dalla vita tranquilla già colpito dai ladri

TRIESTE. «Non sappiamo ancora nulla, aspettiamo che le autorità ci chiamino per capire cos’è successo».
Alessandra Carli, figlia della vittima della rapina di via del Refosco a Opicina, ieri sera era in attesa di sapere di più su quanto avvenuto nella notte in cui suo padre Aldo è stato ucciso. «Mia nonna Silvana è in ospedale e non abbiamo potuto vederla, mentre mia madre Zdenka ne sa quanto noi», racconta.
La donna dice della vita del padre prima della tragedia. L’esistenza tranquilla di un pensionato, con l’unico impegno di accudire un’anziana madre ammalata. «Mio padre non camminava bene - ricorda Alessandra - e per questo passava perlopiù le sue giornate a casa. Faceva la spesa, andava a prendere il latte, andava in posta. Accudiva sua madre. Era insomma la vita normalissima di un pensionato».
Così scorrevano i giorni di Aldo Carli ormai da qualche anno, da quando cioè aveva lasciato la sua storica attività, la gioielleria “Aurex” in via Donadoni. La casa nella quale viveva assieme alla moglie e alla madre è la storica abitazione di famiglia, in cui la coppia abitava praticamente da sempre.
Il fatto che la vittima fosse al piano terra durante la notte, spiega ancora la figlia Alessandra, rientra comunque nella consuetudine: «Ogni tanto poteva capitare che mio padre dormisse al piano terra o scendesse ad aiutare mia nonna, che ha avuto un problema di salute e ha bisogno di molte cure».
Nella vita di Aldo Carli, però, un precedente esiste. Si tratta di una storia molto diversa, una di quelle che possono capitare a quella particolare categoria di commercianti che sono i gioiellieri. Persone che devono preoccuparsi costantemente della sicurezza propria e della propria attività.
Era un lunedì mattina del lontano giugno del 2001 quando la signora Zdenka, una volta raggiunta l’attività di famiglia per iniziare una normale giornata di lavoro, si trovò davanti a uno spettacolo sconfortante. La saracinesca della gioielleria era stata sollevata. Un gruppo di ladri l’aveva aperta, nel corso del fine settimana, utilizzando una chiave falsa. Avevano poi forzato la porta del negozio e così erano riusciti a entrare. Avevano preso la cassaforte che si trovava dietro al bancone, e l’avevano spostata verso l’ingresso senza fare rumore.
Dopo almeno un paio d’ore di lavoro con la fiamma ossidrica e la sabbia erano riusciti ad aprirla. Il bottino: tre chili d’oro, per un valore di circa cento milioni delle lire, allora ancora in vigore. Uscendo avevano lasciato la serranda aperta, che Zdenka trovò arrivando al lavoro al mattino.
La cassaforte bucata e vuota era lì, assieme agli attrezzi utilizzati dalla banda per effettuare il colpo. La donna corse fuori dal negozio e da un locale vicino telefonò alla polizia. Fu impossibile, però, individuare i responsabili del gesto. Nessuno dei vicini aveva sentito nulla, sebbene spostare una cassaforte e aprirla con la lancia termica sia il genere di operazione che è decisamente molto difficile concludere in silenzio assoluto.

Difficile non ripensare a quell’episodio dopo tutto quanto è avvenuto nella notte fra martedì e mercoledì. La casa di un gioielliere, anche in pensione, è una preda ambita per un rapinatore, o per una banda. Se questo fosse il movente dell’azione, però, ciò starebbe a significare che l’azione è stata pianificata con un obiettivo preciso, e non soltanto come una scorribanda contro una villa in un quartiere tranquillo.
Certo è che non sarà facile ricostruire con certezza la dinamica del fatto. Racconta ancora la figlia Alessandra: «Mia madre dormiva al piano di sopra e non si è accorta di quel che stava succedendo - dichiara -. Non sappiamo nulla di quello che è successo quella notte». Solo le indagini potranno chiarirlo, dando almeno qualche risposta alla famiglia.
Riproduzione riservata © Il Piccolo