Trieste, tutti assolti per i rifiuti di Servola

Finisce nel nulla la maxi inchiesta dei carabinieri del Noe sulle operazioni di trasporto e smaltimento eseguite dalla Mefter
Un cumulo di rottami ferrosi in un'immagine da Internet
Un cumulo di rottami ferrosi in un'immagine da Internet

TRIESTETutti assolti. Nessun reato dietro alle operazioni di trasporto e smaltimento di oltre seimila tonnellate di rifiuti della Ferriera di Servola e della Sertubi da parte della Mefter di via Caboto, la storica azienda triestina che si è specializzata nel recupero dei rottami ferrosi, di quelli non ferrosi e dei metalli, nonché nella demolizione di impianti civili e industriali e nella raccolta e trasporto dei rifiuti, acquisendo un’esperienza trentennale nell’attività di recupero dei rottami in prodotti siderurgici per le acciaierie e fonderie.

A pronunciare la sentenza di assoluzione è stato il gup Guido Patriarchi, al termine del processo clelebrato con rito abbreviato, accogliendo in sostanza le richieste del difensore Giovanni Borgna che ha sostenuto la correttezza delle operazioni effettuate dagli accusati. Altri imputati, come Benito e Andrea Caris, erano stati assolti già all’udienza preliminare. Il pm aveva chiesto un anno e 4 mesi per Michele Montrone, un anno e 2 mesi per Diego Montrone e Gabriella Cum, 9 mesi per Renzo Spessot e 7 mesi per tutti gli altri imputati.

La vicenda giudiziaria era stata innescata da un’indagine dei carabinieri del Noe coordinata dal pm Giorgio Milillo riguardante il periodo tra settembre 2010 e aprile 2011. In pochi mesi erano stati monitorati dai militari centinaia di viaggi dei camion che prelevavano i rottami a Servola e poi li trasportavano in altri impianti in tutta Italia. Sotto la lente era finita l’attività di Michele e Diego Montrone, Gabiella Cum, Valentina Randazzo, Sara Albertini, Eva Vozlic, Tania Turri, Dino Viezzoli e Renzo Spessot, tutti a vario titolo con ruoli di responsabilità nella Mefter di via Caboto e in altre società direttamente e indirettamente collegate.

In particolare l’accusa - poi smontata dall’istruttoria nel corso della quale è stato effettuato un incidente probatorio consistito in una perizia affidata al professor Marco Boscolo, già consulente della procura in svariate inchieste sulla Ferriera - è stata quella di gestire in maniera illegale l’enorme quantità di rifuti ferrosi, in particolare ghisa in piastroni, crostoni o granulare. Rifiuti che erano stati classificati di tipo semplice e dunque non inquinanti né pericolosi.

Questo materiale, secondo gli accertamenti dei carabinieri, non era stato trattato ma, nonostante questo, era stato inviato in varie fonderie con l’indicazione di “materia prima secondaria”, violando la normativa. Non solo. L’accusa era stata quella di aver gestito quei particolari prodotti di scarto della produzione senza alcuna autorizzazione. Insomma, fuorilegge. Asse portante dell’inchiesta dei carabinieri del Noe erano state le intercettazioni telefoniche che all’epoca avevano permesso alla procura di individuare una fitta rete di rapporti sommersi per effettuare i trasporti di rifiuti pericolosi in modo facile e soprattutto senza grossi costi economici. Ma quei rifiuti - crostoni e piastroni di ghisetta - non erano da considerarsi particolari bensì conformi alla normativa europea. E dunque il trasporto e la gestione, secondo il giudice Patriarchi, non comportava alcuna autorizzazione speciale e nemmeno delle metodologie operative particolari, al contrario di quanto avevano ipotizzato i carabinieri nelle numerose informative al termine delle quali era scattata l’inchiesta che si è conclusa con una generale assoluzione.

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