Trieste, «Tito un grande statista». E FdI si scaglia contro Rossi
TRIESTE «Tito è stato indubbiamente un grande statista». Non lo dice un comunista, ma lo afferma testualmente l’assessore comunale alla Cultura Giorgio Rossi in un’intervista rilasciata al giornalista Marjan Kemperle e pubblicata venerdì sul quotidiano Primorski Dnevnik.
Si scatena immediata l’ira di Claudio Giacomelli, segretario provinciale di Fratelli d’Italia, oltre che capogruppo in Consiglio comunale: «Se la linea culturale di questa giunta è sostenere che Tito era un grande statista, faremo ben di peggio che metterle un bastone tra le ruote».
È la replica a una frase detta ieri dallo stesso Rossi al montare della polemica: «Forse la fa chi intende mettermi i bastoni tra le ruote nell’impegnativo percorso che sto facendo assieme al sindaco Dipiazza».
Fratelli d’Italia non solo sostiene la giunta, ma vi partecipa anche con un’assessore: Elisa Lodi che ha la delega ai Lavori pubblici. Su Facebook Giacomelli era stato ancora più duro: «Qui c’è solo una parola per definire Tito. Quella parola è: boia. Chi non lo capisce non può fare l’assessore alla Cultura a Trieste».
L’intervista a Rossi procede su questo tenore. D: Legge molto? R: «Moltissimo». D: Che libri ha sul comodino? R: «Camilleri e La storia di Pirlo (Il calciatore, ndr), ma in realtà leggo tutto quanto mi capita sottomano». D: Qualche autore sloveno? R: «Sì, quello dei campi di concentramento». D: Pahor? R: «Ah sì, Pahor». D: E Marko Sosic? R: «Non lo conosco». D: Tra l’altro ha scritto “Tito, amor mijo”. Ma Tito non è il suo tipo.
R: «Attenzione, molte volte mi sono chiesto chi era Tito. La domanda mi è tornata in mente dopo aver visto la “splendidissima” mostra di Magajna a Palazzo Gopcevic. Mi sono venuti in mente episodi tragici, a partire dal fatto che la mia famiglia è stata obbligata a lasciare la terra natìa (Umago, ndr). Ma mi sono anche detto che devo avere una visione più asettica, non personalistica.
Innanzitutto perché nel preciso momento della divisione del mondo in due blocchi, Tito si è sottratto all’egemonia sovietica. Ha fatto quello che ha potuto fare e alla fin fine penso che abbia compiuto un’azione importante: è riuscito a tenere in piedi un Paese con comunità culturalmente diverse. In quel contesto storico era il meno peggio che si poteva fare. È stato indubbiamente un grande statista».
Rossi il giorno dopo non fa alcun passo indietro: «Conosco benissimo il significato delle parole e so cosa vuol dire “statista”. Altri dovrebbero ripassarsi il dizionario (“Statista - si legge nel vocabolario Treccani - è uomo di Stato, persona che ha una profonda esperienza teorica e pratica, dell’arte di governare uno Stato”).
«Logicamente intendevo statista per il suo Paese - continua Rossi - in quell’intervista di un’ora abbiamo parlato di sport e cultura per cui non capisco il titolo del giornale focalizzato sull’ultima domanda». Ma poi si infervora: «Nessuno può venire a dare lezioni di storia a me, che sono stato una vittima degli eventi di quel periodo.
Nel 1953 sono dovuto scappare con la mia famiglia da Umago e ho vissuto per anni a Trieste in un sottoscala, in estrema precarietà. Ho avuto un cugino gettato in una foiba. Posso parlare per esperienza diretta, porto sulla mia pelle i segni di quelle sofferenze. Dunque nessuno può permettersi di insegnarmi nulla».
«Detto questo - continua l’assessore comunale - non si può non riconoscere che Tito è stato un uomo di notevole importanza nella vita del suo Paese, una figura di riferimento nell’opposizione a Stalin. Tant’è vero che in Jugoslavia nessuno è stato in grado di cogliere la sua eredità e il Paese alla fine si è dissolto. Questa è la realtà. Ho espresso la mia opinione perché qui vige la libertà di parola. Se poi qualcuno intende ostacolare questa giunta è un altro discorso».
Piero Camber, capogruppo di Forza Italia, in fondo lo assolve: «Forse un’altra volta - afferma - sarebbe meglio fare le interviste per iscritto, ma Rossi ha dato una definizione di carattere storico ed è indubbio che Tito abbia saputo mantenere l’indipendenza e l’autonomia del suo Stato. Ciò non toglie che sia stato anche un infoibatore e assassino e anche dopo la guerra si sia macchiato di omicidi e torture, come nel caso di Goli Otok che è solo il più noto».
Eppure Giacomelli non si placa: «Ho il massimo rispetto per le storie personali e per tutti coloro che hanno vissuto sulla propria pelle le persecuzioni slavo-comuniste. Ma che Tito è stato un grande statista è una frase che non si può dire soprattutto a Trieste dove le ferite sono ancora aperte. Tanto peggio se a dirle è l’assessore alla Cultura.
Mi aspetto una correzione totale di quelle dichiarazioni, perché se questa è la linea culturale di questa giunta comunale, non si sa cosa di peggio attenderci ancora. È un’idiozia non comprendere che definire in questo modo Tito a Trieste sarebbe come andar a parlar bene del nazismo a Gerusalemme».
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