Trieste, soldi spariti dallo studio: pagheranno le impiegate

Condannate dai giudici d’Appello due ex dipendenti dell’avvocato Sampietro . Anche se il reato è prescritto dovranno risarcire la somma di circa 400mila euro
Un'immagine generica di banconote
Un'immagine generica di banconote

TRIESTE Assolte in primo grado. Ma il conto da 400mila euro - relativo ai soldi “drenati” dalla cassa dello studio legale Amigoni- Sampietro - lo dovranno comunque pagare. Così hanno disposto i giudici d’Appello che hanno condannato, solo per l’aspetto civilistico, due ex impiegate dello studio: si chiamano Maria Cristina Schettino e Donatella Bartolotta, dovranno risarcire il danno e pagare la rilevante somma misteriosamente sparita dalle casse dello studio. A emettere la sentenza il collegio presieduto da Pier Valerio Reinotti e composto dai giudici Fabrizio Rigo e Mimma Grisafi. Accolta in parte la richiesta del pg che aveva anche chiesto la condanna a due anni con la condizionale. Sono state difese dall’avvocato Paolo Pacileo. Parte civile l’avvocato Guido Fabretti che ha proposto appello.

Il clamoroso ammanco era emerso nel 2008 nel momento in cui gli avvocati Luciano Sampietro, Loredana Bruseschi, Giuseppe Sbisà e Mario Rainer avevano deciso di sciogliere la loro associazione professionale e lasciare lo studio di via San Francesco d’Assisi. Ovviamente dopo aver fatto i conti, il “drenaggio” era emerso in tutta la sua drammaticità e costanza. In pratica, stando agli accertamenti delle indagini coordinate dall’allora pm Raffaele Tito attualmente alla procura di Udine, le due impiegate in sette anni avevano fatto evaporare la rilevante somma di quasi 400mila euro.

Le indagini sull’ammanco non hanno coinvolto solo la gestione dell’ultimo anno di attività dello studio di via San Francesco, e cioè del 2008. Al contrario: sono andate a ritroso e dall’esame dei conti e dei bilanci è emerso che il “drenaggio” era iniziato fin nel 2002, se non qualche mese prima. Una attenta valutazione delle poste in entrata e uscita aveva fatto emergere l’entità dei “prelievi” effettuati anno per anno: si va dai 54mila euro del 2002 ai 56mila del 2003, ai 65 mila del 2004. Nel 2005 si sono volatilizzati 64mila euro, nel 2007 51mila, così come nel 2007. Nei primi quattro mesi del 2008 l’ammanco era stato di quasi 18mila euro. Poi il “drenaggio” è stato scoperto e con grande silenzio e circospezione si è avviata l’indagine da parte dei finanzieri.

Per capire il meccanismo che gli investigatori avevano ipotizzato va detto che a ogni 31 dicembre la “cassa” veniva azzerata e i conti ripartivano da zero. I prelievi di denaro contante in banca venivano autorizzati da due dei quattro avvocati che firmavano su richiesta delle impiegate i relativi assegni.

In primo grado, come detto, le due impiegate sono state assolte con formula piena dal giudice Giorgio Nicoli. Ma i giudici di secondo grado hanno sentenziato in maniera diversa dichiarando il non luogo a procedere per prescrizione riguardo il reato di appropriazione indebita, ma disponendo il risarcimento: 400mila euro.

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