Trieste, si presenta in aula con bermuda e infradito e il giudice lo allontana: «Torni con altri abiti»

TRIESTE Nell’estate segnata dalle polemiche sulla “crociata” del Comune contro i bikini in strada, il tema del decoro applicato al vestiario rimbalza ora da Barcola alle austere aule del palazzo di giustizia. A quanto pare, infatti, la tendenza di triestine e triestini a prediligere un abbigliamento fin troppo “informale” non si limita al contesto parabalneare.
La conferma è arrivata durante un’udienza di fronte al giudice Arturo Picciotto, presidente della Sezione civile del Tribunale di Foro Ulpiano. In aula sono entrati due coniugi in fase di divorzio con i rispettivi avvocati e il magistrato non ha potuto far finta di nulla quando ha constatato che il marito si era presentato indossando bermuda e calzature infradito. Il dottor Picciotto l’ha quindi invitato a uscire dall’aula e a ripresentarsi indossando degli abiti adeguati al contesto di un Tribunale. Un episodio senza precedenti, almeno negli ultimi tempi, nelle aule di giustizia. Già in passato, però, si era sentita l’esigenza di invitare più o meno formalmente i cittadini a vestirsi rispettando uno standard di decoro adeguato. La scorsa estate, in particolare, il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Trieste aveva emesso una circolare rivolta a tutti i legali che frequentano il palazzo in Foro Ulpiano: «A seguito di numerose segnalazioni – rimarcava la nota – si sollecitano i colleghi a invitare i propri assistiti a presentarsi alle udienze con abbigliamento consono al luogo». Evidentemente non è bastato e così l’esigenza di un giro di vite per quanto riguarda il vestiario in tribunale torna d’attualità.
«Anche se non c’è una casistica specifica su ciò che si può o non si può indossare, è il Codice di procedura ad attribuire al giudice il compito di garantire il rispetto del decoro durante l’udienza pubblica – spiega lo stesso Picciotto –. In quell’udienza di divorzio il marito si è presentato con bermuda e calzature infradito. Ho parlato con gli avvocati e mi sono lamentato del fatto che non avessero dato indicazioni di vestirsi in modo adeguato. Mi hanno assicurato di averlo fatto, ma la raccomandazione non era stata recepita». «L’ho quindi invitato a tornare vestito in modo adeguato – rimarca il giudice –. In un momento come quello che stiamo vivendo ci vuole rispetto per le istituzioni altrimenti si finisce per banalizzare anche la giustizia, che non è un servizio come gli altri. La mia non è stata una manifestazione di arroganza o di autoritarismo. In base alla norma avrei potuto direttamente allontanarlo dall’aula, ma ho preferito evitare di arrivare a tanto. Il mio è stato, di fatto, un invito a tornare più tardi con un abbigliamento consono. E vorrei sottolineare che il messaggio è stato recepito di buon grado. Si è presentato infatti un’ora dopo vestito in modo più rispettoso, e così abbiamo potuto procedere con l’udienza».
Una sottolineatura è d’obbligo: se i cartelli del Comune che invitano a spostarsi “indossando un abbigliamento adeguato” possono legittimamente diventare oggetto di dibattito e ironia, la questione del decoro in un Tribunale è di ben altra portata, e non va banalizzata. «Negli ultimi tempi – osserva Picciotto – anche a livello mediatico è passato il messaggio di una giustizia ormai allo sbando, ma così non è, in particolare per quanto riguarda il Tribunale di Trieste, uno dei più efficienti del Paese. Per il secondo anno consecutivo è risultato il più rapido d’Italia nella chiusura delle procedure esecutive e fallimentari. Abbiamo un’eccellenza e allora dobbiamo cercare di conservarla, anche chiedendo ai nostri cittadini di rispettare questo Tribunale vestendosi in modo decoroso quando si viene in udienza». «In questo caso – conclude il giudice – l’apparenza è sostanza. È un modo per riconoscere il valore dell’istituzione e l’importanza della funzione che stiamo svolgendo nel nome del popolo italiano». —
Riproduzione riservata © Il Piccolo