«Trieste si gioca il futuro. Più uniti per battere la crisi»

Il presidente degli industriali, Sergio Razeto: su ogni opportunità un impedimento, a volte pare una scusa per non fare
Di Paola Bolis
FOTO BRUNI Trieste 12 10 09 Assemblea Assoindustriali--Sergio Razzetto,nuovo presidente
FOTO BRUNI Trieste 12 10 09 Assemblea Assoindustriali--Sergio Razzetto,nuovo presidente

Porto Vecchio affondato? Miramare nel degrado? Aziende che falliscono? Trieste «vive la più grossa crisi dal dopoguerra e sta rischiando molto». Al punto che in assenza di una virata decisa «noi magari sopravviveremo, i nostri figli non so». Ma se questo è lo scenario, Sergio Razeto non vuole addossare colpe all’uno o all’altro. Il messaggio che il presidente di Confindustria Trieste lancia, per uscirne, è un altro: quello della coesione. Perché «ci sono momenti in cui è indispensabile lavorare insieme, nella stessa direzione, superando politiche e interessi di segno opposto. Mi piacerebbe vedere persone desiderose di condividere un pressing positivo per l’interesse comune. Persone capaci di fare squadra, con una determinazione che manca».

Partiamo da Porto Vecchio. Progetto naufragato, anche se il Tar ne ha annotato la fattibilità.

Ancora, siamo verso la perdita di ogni speranza, per una serie di concause. Non ritengo quanto accaduto imputabile a una sola parte. Credo che anche sugli investitori abbia pesato la crisi: quando fu firmata la concessione - dobbiamo prenderne atto - si sapeva ciò che conteneva. Certo se c’era la voglia di proseguire tra le parti ci si poteva ritrovare... Siamo a uno stop pericoloso, un momento cruciale che richiede forte coinvolgimento di tutte le istituzioni.

E le concessioni a spezzatino cui punta l’Authority?

Cerco di essere il più equilibrato possibile: la soluzione spezzatino potrebbe dare qualche risultato, ma se la si riesce a integrare in una situazione razionale, in una visone d’insieme che però oggi manca.

E il punto franco?

L’intera polemica è abbastanza gratuita: che il punto franco possa essere di qualche utilità nessuno lo mette in dubbio, ma in altre aree del porto. Credo che Porto Vecchio non sia oggi di fatto area portuale, e in questa logica diventa d’interesse pubblico, più destinata alla città, con diverse soluzioni.

La sdemanializzazione è urgente?

L’ottimo è nemico del bene. Se si vuole si può agire anche nelle regole demaniali.

Intanto il Piano regolatore del porto si fa attendere...

Ecco un’altra di quelle storie incomprensibili: non capisco cosa lo fermi. Non mi pare che nel documento vi siano condizioni tali da rendere l’impatto ambientale così impegnativo (si attende la Via, ndr). La mia sensazione è che a Roma non lo prendano in mano. Eppure il porto è una delle chiavi di sviluppo - nessun’altra è così importante - per una città che può utilizzare una posizione strategica. La politica dovrebbe riuscire ad attivare interessi, così come ha fatto per esempio a Venezia. Questa città sta rischiando, dal punto di vista industriale si sta riducendo sempre più.

E pende l’annosa questione bonifiche.

Il mio parere personale è che manchino i soldi: erano stati destinati fondi regionali, sono stati distratti.

Altro tema spinoso e annoso: il rigassificatore.

Confindustria mantiene la posizione, chiarissima. Gli Usa sono divenuti esportatori di gas, il mercato delle gasiere ha avuto un incremento esponenziale... Anche un rigassificatore inattivo è garanzia per avere energia.

Il Comitato portuale, concordi gli enti locali, è stato altrettanto chiaro: impianto incompatibile con il previsto incremento di traffici portuali.

Io quei traffici li vorrei: è molto aumentato quello per la Siot. Certo se uno crede nel porto ci deve dare priorità, e se dovessi scegliere tra rigassificatore e terminal traghetti sceglierei quest’ultimo. Poi c’è anche chi sostiene che la compatibilità esiste. Comunque quelle previsioni di traffico le ho trovate esagerate rispetto a realistiche possibilità.

Intanto su Servola con Arvedi si apre uno spiraglio.

Molto positivo, per una siderurgia che beninteso deve essere sostenibile. È importante che quell’area rimanga attiva, anche perché dà lavoro a 700-800 persone.

L’Authority si è detta disponibile a uso dell’area anche per attività produttive industriali collegate alla logistica.

Ben venga la logistica che non sia solo di transito, attività che non dà grosso valore: bisogna trovare nuove opportunità. Logistica e siderurgia sostenibile si possono combinare.

Confindustria Trieste denuncia da tempo che il secondario è al palo del 10% del Pil locale. Quali segnali vede?

La situazione rispetto a inizio anno è peggiorata, di segnali positivi ne vedo qualcuno a livello estero, non nazionale. In città la crisi resta grande: a inizio autunno, anche con la fusione di Confindustria Trieste e Gorizia, vogliamo ragionare su nuovi servizi, iniziative capaci di dare una mano soprattutto alle piccole imprese individuando modelli di filiera ma anche di massa critica, di aggregazione così da affrontare il tema di quelle esportazioni che un’azienda di poche persone non può permettersi.

La stretta creditizia è uno dei problemi forti.

L’industria ne soffre molto. Sono il primo a dire che non va aiutato chi non ha futuro, ma se un rimprovero ho da fare alle banche, è che non so quanto promuovano l’imprenditorialità, le idee mirate a nuove direzioni. C’è scarsa fiducia.

Cosa possono fare le istituzioni?

Pesante burocrazia quotidiana, tasse altissime in una zona di confine che compete con aree di migliore favore, costi dell’energia troppo elevati, pagamenti ritardati da parte dello Stato... Se non si affrontano questi nodi - sempre gli stessi - non c’è ragione perché un’impresa possa o voglia restare e Trieste.

A che punto è il dialogo tra industria e ricerca?

Collegamento molto modesto, e anche qui la colpa non sta da una parte soltanto. Di centri di ricerca in regione ce ne sono troppi, alcuni sì di eccellenza, ma assorbono molte risorse e non sempre danno risultati. La ricerca un po’ si compiace di se stessa; l’industria punta a risultati rapidi e tende a non rivolgersi a quel mondo. Manca coesione, dovremmo riuscire a migliorare.

E l’Università di Trieste, sull’altalena delle classifiche?

Buon ateneo, ma vale quanto ho detto: guarda un po’ se stesso. Leggendo classifiche e commenti mi pare di aver capito che c’è buona docenza, e un po’ meno buona ricerca. Dobbiamo trovare vie per pensare insieme al domani.

Il turismo è industria. Da Miramare in poi, le risorse si sfruttano poco o male?

Miramare? Una vergogna. Io sono per la privatizzazione, beninteso con regole e vincoli: si dà in gestione il tutto a una società che introita una percentuale sugli ingressi. In generale, oltre al turismo vero e proprio c’è quello congressuale che è ricco, ma non va molto bene. Si era puntato sul Silos, il Silos è fermo. Resta la Marittima, con l’ulteriore servizio delle navi da crociera: si potrebbe fare arrivare qui le navi per portare poi i turisti a Venezia. Ma bisogna essere attraenti.

E invece?

Tutte le opportunità trovano un impatto, un impedimento, e a volte si ha l’impressione che l’impedimento diventi scusa per non fare. Le istituzioni dovrebbero darsi una mossa, essere responsabili, superare contrapposizioni. Io amo questa mia seconda città dove si vive meglio che a Genova. Spero che riesca nel colpo di reni: è una signora di vecchio fascino, che può divenire antico. E se c’è pessimismo, è legato all’andazzo nazionale di cui Trieste risente di più perché non sta poi così male come altre città: e chi deve dare, avendo poco, dà a chi più ha bisogno. A livello politico, io vorrei che il concetto di grande coalizione andasse avanti. Un presidente di Wärtsilä narrava che da bambino nel suo villaggio non c’era molto benessere: quando mancava cibo, si raccoglieva quello di tutte le case e lo si dava agli uomini che andavano a caccia...

Trieste in tre aggettivi?

Bella. Addormentata. E poi... Ecco: io mi auguro che si risvegli presto. Le opportunità, le strade ci sono.

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