Trieste, si fece nominare erede universale: nei guai il vicino di casa

Secondo l’accusa l’uomo avrebbe approfittato dei disturbi cognitivi dell’anziano diventandone amministratore di sostegno
sterle trieste 24 01 08 tribunale conferenza di presentazione inaugurazione anno giudiziario presidente corte d'appello dapelo cravatta regimental rossa
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Due testamenti scritti a mano riguardanti un appartamento e un conto in banca con un saldo, tra titoli e polizze, di oltre 650mila euro. Antonio Censky, un tempo tecnico della sede Rai di Trieste, era deceduto nel settembre del 2015 dopo pochi mesi dalla firma su quelle carte. Beneficiario del testamento aveva indicato il vicino di casa, nominato anche amministratore di sostegno pochi mesi prima della morte dell’anziano.

Si chiama Adriano Frezza, 71 anni. È accusato dal pm Antonio Miggiani di aver abusato «della vulnerabilità emotiva, della non autosufficienza organizzativa, della solitudine di Antonio Censky e, di conseguenza, del suo stato di deficienza psichica e cognitiva». Con la sua azione, secondo il pm Miggiani, Frezza ha indotto il suo assistito a redigere e sottoscrivere un testamento olografo e a farsi di conseguenza nominare “erede universale”. L’ipotesi di reato contestata è quella di circonvenzione di incapace.

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Con questa accusa, Adriano Frezza comparirà il prossimo 13 luglio davanti al gip Guido Patriarchi. Difensori sono gli avvocati Riccardo Seibold e Giorgio Borean. Le cugine dell’anziano, che hanno presentato un esposto, si chiamano Clara Sajovitz, 74 anni, e Nadiana Sacher, 94 anni. Si sono affidate agli avvocati Mario Giordano e Antonella Coslovich.

La vicenda ha dell’incredibile. Quando il caso è scoppiato, Adriano Frezza ha congelato l’intera eredità comunicandolo ai parenti dell’anziano proprio per evitare ogni contenzioso e soprattutto ogni dubbio. Questi i fatti: Antonio Censky fino al 2014 aveva goduto di una discreta salute. Viveva da solo in un appartamento in campo San Luigi ed era assolutamente autonomo. Poi a causa di una brutta caduta aveva subito un trauma a una gamba. Ed era stato in quel momento che per lui erano iniziati i problemi. Prima il ricovero in ospedale e poi la degenza alla casa di cura Mademar dove, gradualmente ma inesorabilmente, le condizioni di salute si erano deteriorate peggiorando sensibilmente.

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Si era attivata nell’occasione una cugina che aveva più volte scritto all’Azienda sanitaria di provvedere per fare intervenire un’assistente sociale. Clara Sajovitz aveva spiegato che il proprio cugino, che fino a pochi mesi prima guidava addirittura la macchina, «non è più quasi in grado di camminare ed è sordo. Costituisce un pericolo per gli altri condomini perché a volte si addormenta con il gas acceso».

Si era così attivata la procedura per la nomina di un amministratore di sostegno. E cioè di Adriano Frezza, il suo vicino di casa, indicato dallo stesso Censky. Frezza - così risulta - lo aveva aiutato quando aveva avuto i problemi di salute. E a quel punto era scattata - secondo l’accusa - l’operazione-testamento. La data del primo documento è quella del 6 dicembre 2014. È una lettera indirizzata al giudice. Si legge: «Io sottoscritto Censky Antonio chiedo di nominare il signor Frezza Adriano quale mio amministratore di sostegno». Continua: «Conosco il signor Frezza da 30 anni. Ho fiducia e stima e so di poter contare su di lui in caso di necessità».

Pochi giorni dopo, il 10 dicembre, il documento fondamentale. Si legge: «Io sottoscritto dichiaro di voler lasciare al signor Frezza Adriano l’appartamento di mia proprietà e il conto bancario per sostenere le spese».

Le firme, come è stato accertato da una perizia disposta dal pm Miggiani durante l’istruttoria, sono risultate autentiche. Insomma vere. Ma quel che è emerso dagli accertamenti dei carabinieri è che Antonio Censky soffriva già da tempo di gravi disturbi cognitivi. Poi è arrivata la morte, avvenuta dopo qualche mese, nel settembre del 2016. E dopo qualche giorno Frezza si è presentato nello studio del notaio Beatrice Durandi per consegnare il testamento a suo favore. Per il pm Miggiani non ci sono dubbi: lo ha fatto per «farsi nominare erede universale». Da qui la richiesta di rinvio a giudizio.

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