Trieste, si dimette il “boss” del Pronto soccorso
TRIESTE Si chiude un’era a Cattinara. L’era di Walter Zalukar, il medico che per anni ha tenuto le redini del Pronto soccorso. Zalukar si dimette, anticipando sorprendentemente di ben tre anni il pensionamento. Una scelta che il diretto interessato non commenta, non adesso. «Continuerò a battermi per la difesa della sanità pubblica», si limita a dire. È in quel “battersi” che, forse, va ricercata la chiave di questa decisione. Ma battersi con chi? Contro la dirigenza ospedaliera e la politica che conta? Quella delle riforme mal digerite, par di capire, che nell’ambiente della sanità incontrano nemici e ostacoli. Zalukar è una sorta di totem nel settore: lavora nel sistema dell’emergenza dal '79, quando ancora non esistevano le ambulanze. Non come le conosciamo noi, almeno. Diventa primario dell’astanteria dal primo giugno del 2003 e dal 2008 è direttore del Dipartimento di emergenza e accettazione. Prima ancora era responsabile del 118 istituito a Trieste nel ’92. Ha appena dato preavviso delle dimissioni, con decorrenza 17 dicembre.
Dal 1979 a oggi quante ne ha viste?
Beh, tante. È importante riflettere su come si è evoluto a Trieste il sistema del soccorso territoriale con l’introduzione del 118 istituito nel ’92. Uno dei pochissimi in Italia con il medico a bordo dell'ambulanza. Già tra il 1981 e il 1982 avevamo iniziato a riorganizzare il Pronto soccorso e la Croce rossa che all’epoca aveva un metodo di lavoro molto differente. Quella volta si prendevano i pazienti per i piedi e le braccia, in pratica, per metterli in barella. Abbiamo cominciato a seguire delle regole per la manipolazione delle fratture, come quella alla colonna vertebrale. Abbiamo usato per primi le barelle a cucchiaio e i defibrillatori sul posto. In pratica abbiamo portato le cure all’interno dell’ambulanza e sul posto, mentre prima le facevi solo all’ospedale. Era la nuova medicina d’urgenza che si stava affermando. Lo facevano solo in Toscana e in Emilia Romagna.
I risultati sono stati subito evidenti nel numero di vite salvate?
Gli arresti cardiaci si salvavano uno su cento. Ora si arriva al 10%. Ma pensiamo anche a tutta l’attività di formazione di primo soccorso per i Vigili del fuoco e le forze dell’ordine. Abbiamo istituito le auto mediche, ad esempio. Il sistema “triage” in Pronto soccorso risale invece agli inizi del 2000.
Com’era strutturato all’epoca il Pronto soccorso?
Era ridotto ai minimi termini, con la metà dei medici e degli infermieri di oggi. Se un tempo tutta l’urgenza passava ai reparti, dal 2003 abbiamo introdotto sei postazioni per il monitoraggio dei pazienti.
Con quali effetti?
I ricoveri negli anni sono scesi notevolmente: da 18 mila, nel giro di cinque anni, siamo passati a 15 mila. Merito del fatto che molti pazienti vengono diagnosticati qui e poi dimessi con una terapia. Una broncopolmonite una volta era sempre sottoposta a ricovero, oggi invece è gestibile a casa con assistenza.
Ma la percezione è che i triestini siano piuttosto affezionati al Pronto soccorso: quando si sta male si viene qua, come mai?
Si può discutere sui tempi di attesa, ma non sulla qualità. Che qui è molto elevata. Il malato va dove percepisce sicurezza e professionalità.
Cosa si può migliorare per diminuire i tempi di attesa?
Per i codici verdi l’obiettivo è un’ora di attesa, ora siamo a una e mezza di media. C’è da lavorare, ma va detto che Trieste non ha mai rifiutato un malato. Quante volte abbiamo sentito, nel resto del Paese, di ambulanze che fanno il giro degli ospedali per trovare un letto libero. Qui non è mai accaduto. In urgenza i posti li assicuriamo sempre. È segno di civiltà.
Come sarà il Pronto soccorso del futuro con la ristrutturazione di Cattinara?
Ho partecipato alla progettazione: spazi più ampi soprattutto per gli ambulatori, grandi tre volte tanto. La radiologia vicina, per la riduzione dei tempi di diagnostica, e box per ogni barella in modo da garantire la privacy dei pazienti.
Serve più personale?
No. Con una migliore configurazione logistica si può ottenere anche un risparmio di infermieri. Che adesso non è però possibile visto che questo Pronto soccorso fa 150 accessi al giorno, mentre gli spazi sono pensati per meno di 40. E per 15 persone la notte, mentre ne arrivano 60.
La riorganizzazione della sanità territoriale suggerita dalla riforma, con l’introduzione dei Cap, i Centri di accoglienza primaria, avrà effetti sulla diminuzione dei tempi di attesa?
Vedremo.
Comunque non si è ancora capito perché sono cresciuti gli accessi negli ultimi mesi: che idea si è fatto?
Non ho idea.
Ma perché si dimette?
No comment. Ma continuerò a occuparmi della difesa delle sanità pubblica, anche nel mio ruolo sindacale.
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