Trieste, Sgarbi contro il Comune: «Incapaci, snobbano la mia mostra»

TRIESTE Vittorio Sgarbi contro il Comune di Trieste. Dopo le pacche sulle spalle ai tempi della campagna elettorale di Roberto Dipiazza e dopo il dono della mostra che al Salone degli incanti ha messo in esposizione le collezioni private del critico, Sgarbi lancia il siluro contro l’amministrazione di centrodestra, rea a suo dire di aver trasformato l’evento in un flop.
«Mi pento di aver portato la mostra a Trieste», dice lo storico dell’arte in un videomessaggio su Facebook, registrato nei giorni in cui si stanno tirando le somme sul numero di visitatori passati per l’ex Pescheria.
Le parole sono quelle dell’amante ferito: «Non farò mai più nulla per Trieste. Sono costretto a fare pubblicità io, ma era compito dell’amministrazione della città: non dovevo fidarmi».
A ieri i biglietti staccati erano 9182 in tre mesi e mezzo. L’inaugurazione risale al 27 aprile, quando Sgarbi rilasciò un’intervista senza risparmiare punzecchiature sulla gestione dei musei triestini e sulla bocciatura della sua idea di lasciare le opere in Porto vecchio perché l’esposizione diventasse permanente.
Mi pento di aver portato la mostra della mia collezione a #Trieste https://t.co/Y7tadi39w6 @il_piccolo @ComunediTrieste @stampasgarbi
— Vittorio Sgarbi (@VittorioSgarbi) 9 agosto 2017
I visitatori possono vedere i cartoni preparatori degli affreschi realizzati da Carlo Sbisà, i dipinti di Oscar Hermann-Lamp, il ritratto di Leonor Fini a un principe arabo, la Cleopatra di Artemisia Gentileschi, l’Allegoria del tempo di Guido Cagnacci.
Oltre duecento pezzi, dal Quattrocento al secolo scorso, tutti provenienti dalla collezione Sgarbi-Cavallini. Rispetto alle precedenti esposizioni della collezione tenutesi a Osimo e Cortina d’Ampezzo, per l’occasione sono stati valorizzati i maestri triestini come Giuseppe Bernardino Bison, Giuseppe Tominz, Umberto Veruda, Arturo Nathan ed Edgardo Sambo.
Il Comune ha speso 165mila euro, in parte coperti da un finanziamento della CRTrieste: 40mila per curatela, segreteria e direzione creativa; 18mila per promozione e sito web; 20mila per rinfresco inaugurale, visite guidate ed eventi collaterali; 80mila per sorveglianza, biglietteria e bookshop; 6mila per le pulizie.
“Palazzo Cheba” non vedrà però tornare un centesimo, perché gli incassi derivanti dai primi 22mila biglietti sono destinati per contratto all’associazione ViviPavia, responsabile dell’allestimento e a sua volta impegnata per 135mila euro.
Per Sgarbi è tutta colpa del Comune, che porta in città «capolavori e non lo comunica a nessuno. Possibile che Trieste sia un luogo così disperato in cui le cose di buon senso non si fanno?
Ho fatto un gesto di considerazione per una città bellissima e struggente, ma oggi gli uomini che la governano non hanno capacità, sentimento, passione. Mi vergogno e mi pento di aver mandato a Trieste le opere che ho tanto amato, raccolte con mia madre: una prova d’amore forse sbagliata».
Il critico non risparmia un cenno anche sulla vicenda della Pasticceria Pirona: «Il sindaco di Trieste, il soprintendente, quelli che dovrebbero amare la città non agiscono per impedire delle violenze che le tolgono la storia».
Se il sindaco Roberto Dipiazza preferisce non commentare la stilettata da mano amica, la risposta è affidata all’assessore alla Cultura Giorgio Rossi, che attribuisce le responsabilità a Sgarbi stesso e all’amministrazione Cosolini. Per Rossi, «quando Sgarbi propone una mostra, chi più di Sgarbi si può autopubblicizzare? Se i risultati sono stati scarsi, il primo a doversi interrogare è l’amico Vittorio. Speravamo molto in lui».
L’assessore allarga poi il ragionamento: «Tutte le mostre organizzate nell’ultimo anno a Trieste non hanno avuto i risultati sperati.
Questa è la prima organizzata dalla nostra amministrazione e ha avuto comunque una media di oltre duemila visitatori al mese: più di quelle precedenti e spendendo molto meno, anche se il risultato non è stato certo faraonico. La pubblicità non si inventa, ma si costruisce nel tempo e quando siamo arrivati abbiamo trovato una comunicazione culturale e turistica pari a zero. Ora abbiamo cominciato a investirci».
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