Trieste, sesso al Punto G: due anni all’ex gestore

Davide Ceglia condannato per le illecite prestazioni a pagamento delle ballerine nel locale di via Economo
Una pattuglia dei carabinieri fuori dal “Punto G” al momento del sequestro
Una pattuglia dei carabinieri fuori dal “Punto G” al momento del sequestro

TRIESTE Calienti addii al celibato in compagnia di ballerine disponibili e generose con tutta la comitiva. Ma anche fugaci incontri a due, svolti o meglio goduti su accoglienti divanetti immersi nella penombra e nascosti alla vista altrui da spesse tende.

Tra questi due estremi- l’uno pubblico, l’altro privatissimo - si è sviluppata l’inchiesta del pm Federico Frezza sull’attività del “Punto G”, il locale notturno di via Economo che, prima di essere sequestrato nell’ottobre del 2010, aveva impegnato per mesi un nutrito gruppo di carabinieri che indagavano sulle attività, senza dubbio, fuori ordinanza del gestore e delle “sue” generose ballerine.

Alla fine per l’ex intraprendente gestore è arrivata la condanna. Si chiama Davide Ceglia, ha 40 anni. È stato difeso dall’avvocato Massimo Bergamasco. Per lui la pena inflitta dal collegio presieduto da Filippo Gulotta e composto dai giudici Massimo Tomassini e Francesco Antoni è stata di 2 anni e tre mesi oltre a 500 euro di multa.

In sostanza è stata accolta la richiesta del pm Frezza che nella sua requisitoria aveva ritenuto equa per Ceglia una condanna a due anni per ognuno di due specifici periodi d’indagine, il primo antecedente al sequestro preventivo avvenuto nel 2009 e il secondo successivo al dissequestro e all’entrata in attività di Franco Dichiara, 65 anni, zio di Ceglia (difeso dall’avvocato Gabriella Frezza) che, secondo le indagini, di fatto era stato il suo prestanome. Dichiara è stato assolto per non aver commesso il fatto. Assolte pure due ballerine entraîneuse accusate di favoreggiamento e sfruttamento della prostituzione. In aula per loro si sono alternate nelle varie udienze gli avvocati Maria Genovese ed Eleonora Sponza.

L’ultimo blitz dei carabinieri era scattato all’alba del 15 ottobre del 2010. Ma i militari su indicazione del pm Frezza già da settimane stavano monitorando l’attività del locale di via Economo. Per tutto questo tempo i carabinieri avevano visto in diretta tutto ciò che accadeva nei quattro separè posti su un soppalco all’interno del locale. A filmare gli approcci (e non solo) erano state quattro telecamere fisse. Poi era stato anche installato un quinto apparecchio davanti all’ingresso del Punto G: il suo obiettivo era “brandeggiabile”.

E ogni notte un carabiniere da un remoto “osservatorio” sistemato in un furgone guardava quanto compariva sul monitor e puntava lo zoom ora su questo, ora su quel cliente. Insomma era stato realizzato una sorta di set cinematografico. Poi il contenuto di tutte queste riprese è stato racchiuso in una quarantina di dvd che il Tribunale ha esaminato prima di redigere la sentenza.

Ma torniamo al blitz che si era concluso con l’arresto di Ceglia. Per primi erano entrati alcuni investigatori in borghese che si erano mimetizzati tra i frequentatori del locale. Lo avevano fatto anche già nelle settimane precedenti. Osservando, annotando quanto avveniva nella penombra. Le “ballerine”, se qualche cliente era disponibile ad aprire il portafogli con i gestori, lo seguivano poi discretamente nei privé.

Lì le ragazze si spogliavano integralmente di fronte all’occasionale partner che per il caldo o l’emozione del momento si toglieva anche lui qualche abito di dosso. Prezzo 50 euro per vedere, poi per toccare altri 50 e infine 100 per un rapporto. L’irruzione - ad agire una ventina di carabinieri - era scattata attorno alle due. In un privè vicino all’ingresso i militari avevano sorpreso una entraîneuse in atteggiamenti intimi con un cliente. Il quale aveva appena consegnato una banconota da cento euro per consumare mezz’ora di sesso. Nella penombra della sala, avvinghiate ai pali della lap dance, c’erano altre cinque “ballerine”: una slovacca, una slovena, una ungherese e due rumene.

Ma già undici mesi prima i carabinieri, sempre su ordine del pm Frezza, avevano sequestrato il locale. Poi c’era stato il dissequestro e l’attività gestita da Davide Ceglia di fatto era ripresa attraverso un prestanome, lo zio Franco Dichiara. Stessi privè, stessi divani, ballerine nuove. Fino al successivo sequestro e all’arresto. E ora è arrivata la condanna.

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