Trieste secondo “Ulisse”: «Città che non sa ridere»

Secondo la rivista di Alitalia il capoluogo è adatto ai «cacciatori di fantasmi» Un articolo traccia un lungo elenco di stereotipi e luoghi comuni

sterle trieste 30 03 09 maltempo dd 30 03 09
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TRIESTE. «Ci vogliono le adunate degli alpini per strappare una volta l'anno una bozza di sorriso a una città che non ha mai saputo come si ride». È solo una delle perle di umorismo davvero involontario raccolte da un articolo dedicato a Trieste, contenuto nell'ultimo numero di "Ulisse", quella rivista patinata dell'Alitalia che trovate in volo nella sacca posteriore della poltrona dinanzi a voi, e alla quale di solito si ricorre, a mo' di ultima spiaggia, quando sono terminati i giornali portati per il viaggio e si è senza libri.

Non ha mai saputo come si ride la città di Cecchelin e di Ricky Malva, della Witz Orchestra e del Pupkin Kabarett, di Carpinteri e Faraguna? Ma mi faccia il piacere, direbbe il grande Totò. È evidente, da questa notazione ma anche da altri passi del testo, che l'articolista, il giornalista e scrittore Giancarlo Dotto, si sia fatto un'idea assai originale e ovviamente tutta sua della città. Descrive infatti Trieste come una città adatta ai «cacciatori di fantasmi», un luogo «assediato dal suo passato». E giù con una lista di personaggi che ne hanno scritto la storia e che sarebbero ancora presenti fra le vie e le piazze: Rainer Maria Rilke lungo il sentiero che collega Sistiana al Castello di Duino, James Joyce che si affaccia alla finestra della Berlitz School di piazza Ponterosso, Italo Svevo che arriva ogni giorno in tram da Villa Veneziani al suo ufficio in Corso Italia... Ora sarebbero tutti fantasmi («nulla di lugubre, intendiamoci...»), pronti ad accogliere il viaggiatore. E immaginatevi quanta voglia può venire a un viaggiatore normale di visitare la città con una prospettiva di questo tipo.

Poi, un bel giro veloce fra alcuni luoghi obbligati: piazza dell'Unità, il Caffè degli Specchi, il San Marco e il Tommaseo, il Giardino pubblico. Manca solo Pepi S'ciavo, da anni meta obbligata di tutti quelli che vogliono e credono di poter raccontare una città che forse è un tantino più complessa di un elenco di stereotipi.

Ne volete sentire altri? Per i triestini l'Italia comincia a Monfalcone, la politica li ignora e loro ricambiano, si lamentano ma con grande sobrietà, anche perché defraudati da un'autonomia che la città «sente di meritare, concessa invece chissà perchè a Trento e Bolzano». E la minaccia di Tito sarebbe stata sostituita dalla presunta «avversione di croati e sloveni», dalla «diffidenza dei friulani per i quali il giuliano è un imperdonabile gaudente truccato da musone».

Un'altra perla: il triestino doc, quello che trovi negli uffici e nei caffè, vive segregato nel suo rigido protocollo; il condomino ti saluta se lo incontri nel palazzo, t'ignora un secondo dopo se lo incroci per strada e così la tabaccaia sotto casa. Il motivo? La bora: sarebbe infatti il nostro vento «a esasperare l'individualismo congenito del triestino, questo suo alzare il bavero, sotterrarsi dentro un cappotto e sotto il cappello, per arrivare il prima possibile a casa, chiudersi nella tana, difendersi dal vento e dal prossimo».

Vien da chiedersi: ma che città ha visitato, l'articolista, prima di mettersi al computer? Che triestini ha conosciuto? O per dirla con i tanti che a Trieste sanno e hanno sempre saputo ridere con gusto e intelligenza: ma che cosa le hanno dato da bere e da fumare, nei giorni trascorsi in città? Ritorni, caro amico, e forse scoprirà una Trieste diversa dagli stereotipi e dai luoghi comuni.

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