Trieste, «se rispetta le regole la Ferriera di Servola non si può chiudere»

Giudizio del presidente della Commissione Industria del Senato dopo la visita allo stabilimento e le audizioni
Lasorte Trieste 01/02/13 Ferriera di Servola
Lasorte Trieste 01/02/13 Ferriera di Servola

TRIESTE «Possiamo anche ritenere che una Ferriera a Trieste non vada bene, ma se un’azienda privata rispetta le prescrizioni che le sono state poste, ha tutto il diritto di svolgere la propria attività». È il succo di un primo giudizio dato dalla Commissione Industria del Senato nella conferenza stampa al termine della visita fatta ieri allo stabilimento e di una serie di audizioni.

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A formularlo è stato il presidente Massimo Mucchetti (Pd), che era accompagnato da soli altri tre componenti: Salvatore Tomaselli (Pd), Bernabò Bocca (Fi-Pdl) e Gianni Pietro Girotto (M5S). «Lo abbiamo fatto rilevare anche al sindaco e al segretario comunale - ha precisato Mucchetti - sottolineando che solo se le prescrizioni sono eluse in modo patente si può giungere a una chiusura d’autorità. Ma il sindaco ci ha manifestato la volontà politica di arrivare alla chiusura dell’area a caldo prendendo iniziative che non ci sono state riferite».

Oltre alle voci di prefetto, Regione, sindacati e Confindustria, la commissione ha raccolto in audizione anche i pareri di associazioni ambientaliste e comitati di residenti, critici nei confronti della presenza dello stabilimento.

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«Ci sono state riferite preoccupazioni che è giusto tenere da conto - ha aggiunto - ma non sono ben quantificate. Considerato che l’Arpa sta facendo i controlli, le valutazioni non devono partire da posizioni politico-emozionali che possono sempre avere un quid di strumentale, ma basarsi sull’acquisizione di dati certi, rilevati scientificamente da un soggetto pubblico che non deve fare il tifo per nessuno, ma rappresentare la verità oggettiva».

Per l’azienda è stato sentito l’amministratore delegato di Finarvedi, Mario Caldonazzo. «Il cavalier Giovanni Arvedi lo incontreremo domani a Cremona - ha aggiunto Mucchetti - doveva essere a Trieste, ma è stato convocato dal ministro per lo sviluppo economico Carlo Calenda con il quale ritengo abbia parlato anche di Servola».

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Sullo sfondo c’è l’acquisizione dell’Ilva di Taranto, il più grande stabilimento siderugico europeo. «Non possiamo dire che impatto avrà Taranto su Trieste, dipenderà dall’andamento della domanda di prodotti siderurgici - ha specificato il senatore -. Servola funziona nell’ambito del Gruppo Arvedi: produce ghisa che consente di migliorare la qualità dell’acciaio prodotto dai forni elettrici di Cremona, ma qui ha iniziato a operare anche l’area a freddo che perfeziona i coils che vengono da Cremona.

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L’ingresso di Arvedi, dapprima al 10% e poi forse con una quota un po’ superiore, nell’ambito dell’Ilva potrà portare a intese più forti tra i due Gruppi. Nella cordata di Arvedi il 35% lo avrà Jindal e il rimanente 55% gli altri due partner italiani: la Cassa depositi e prestiti e Del Vecchio.

La seconda cordata in corsa per l’Ilva è quella di Arcelor-Mittal, ma parte sfavorita perché quella italo-indiana ha in progetto di produrre a Taranto 8 milioni di tonnellate annue di prodotti contro i 6 dell’altra che metterebbe in atto forti tagli occupazionali».

A esprimersi sul futuro del complesso triestino, anche un altro componente della commissione del Senato, Salvatore Tommaselli, anch’egli del Pd: «La chiusura della sola area a caldo pare difficilmente sostenibile per chi ha un ciclo produttivo integrato.

Un’azienda che viene, investe e accetta i limiti previsti dentro un processo industriale integrato o fa tutto o niente, non può limitarsi a una parte sola. Ecco perchè auspichiamo che i vari soggetti discutano tra di loro: società civile, ammininistrazioni locali e azienda. E se ci si sono parti dell’Aia da rivedere, la si riveda in maniera concorde».

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«Questa giornata - ha concluso Mucchetti - ci è servita a capire la consistenza del lavoro fatto da Arvedi a Trieste e le prospettive che questo lavoro apre alla luce di Taranto che costituirà il perno dell’intera industria siderugica italiana.

Sono impegnati a vario titolo anche soldi pubblici ed è responsabilità di governo e parlamento verificare l’uso che di queste risorse viene fatto, considerato che l’orientamento del governo e della maggioranza è promuovere lo sviluppo industriale che deve includere anche la siderurgia, nel quadro della compatibilità ambientale, ma senza alcuna preconcetta ostitità ideologica verso l’industria pesante.

Leggera o pesante che sia, l’industria se rispetta le regole, va bene. Non vogliamo un’Italia fatta soltanto di pizzerie e di alberghi, perché è dall’industria che viene la spinta alla ricerca e innovazione e quei Paesi che avevano puntato tutto sui servizi, come Gran Bretagna e Stati Uniti - ha concluso Mucchetti - è all’industria che ora stanno tornando».

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