Trieste: scatta lo sfratto, finisce in strada a 93 anni

Condannata a lasciare l’alloggio in cui vive dal 1968, ora nuda proprietà del figlio, per pagare le cure alla sorella malata
Il tribunale di Trieste
Il tribunale di Trieste

TRIESTE Era l’ormai lontanissimo 1968 quando Angiola C., allora quarantaquattrenne, venne ospitata con il figlio Alessandro dalla sorella Francesca e dal cognato nel loro appartamento in uno degli alti palazzi vicini al carcere del Coroneo. Furono, a loro modo, una famiglia. Di quelle allargate. Mamma, figlio, zia e zio.

Tutti insieme appassionatamente, per una vita intera, al punto che poi, nel 2002, la zia, la vera padrona di casa, decise di intestare al nipote Alessandro la nuda proprietà dell’abitazione in cui sarebbero rimaste lei come titolare dell’usufrutto e sua sorella, la mamma dello stesso Alessandro, di fatto ospite inamovibile. Una vita intera, appunto, che adesso però, dopo quasi 50 anni, reclama il conto con gli interessi, nel nome di un mondo in cui, con buona pace dei legami familiari e affettivi, ogni cosa ha, deve avere un prezzo.

Il prossimo 31 marzo infatti, a 49 anni da quel trasloco, Angiola - che di anni ne avrà 93 - dovrà andarsene da lì. Sfrattata per legge dalla casa in cui sua sorella l’aveva accolta quando lei era una mamma sola bisognosa d’aiuto, una casa che oggi appartiene proprio a suo figlio e per la quale chiaramente mai ha pagato un affitto. Non solo: al di là della necessità di doversi cercare un altro alloggio, ragione per cui le vengono riconosciuti questi quattro mesi, «termine congruo per il reperimento di una sistemazione alternativa», dovrà anche pagare un forfait quantificato dal Tribunale in 3.750 euro, ovvero il totale di 250 euro mensili a partire da gennaio 2016.

Motivo: la sorella, da quattro anni a questa parte, ha perso la propria autosufficienza a causa di una malattia fortemente invalidante e si ritrova ospite in una casa di riposo i cui servizi, con una pensione da poco più di 600 euro al mese, non riesce ovviamente a onorare. Quell’appartamento, quindi, va messo a rendita sotto forma d’affitto per consentire l’ospitalità della sorella di Angiola, che detiene come si è detto l’usufrutto, nella residenza per anziani. E nulla possono né il figlio di Angiola, titolare della nuda proprietà, né tantomeno la stessa Angiola.

Così ha deciso l’altro giorno il giudice del Tribunale civile di Foro Ulpiano Anna Fanelli, che ha accolto parzialmente il ricorso avanzato dall’avvocato Maria Grazia Tedesco per conto dall’avvocato Antonella Mazzone - amministratore di sostegno di Francesca P. autorizzato in questo senso dal giudice tutelare - che chiedeva che Angiola fosse condannata ad andarsene immediatamente da quella casa e a pagare 22mila euro a titolo di indennità di occupazione dal gennaio del 2013, quando la sorella si era trasferita nella casa di riposo, fino all’aprile scorso, oltre ai soliti interessi legali, alle rivalutazioni e a 550 euro mensili per ogni mese successivo.

I presupposti del ricorso, come si legge nell’ordinanza del giudice Fanelli, spaziano da un debito accumulato da Francesca C. nei confronti della casa di riposo da circa 30mila euro a un decreto ingiuntivo da oltre cinquemila euro per spese condominiali non pagate dalla sorella.

“Io quella casa l’ho vissuta, l’ho pulita, arredata”, ha raccontato in lacrime Angiola in udienza, «disperata», come racconta il suo difensore, l’avvocato Francesco Miraglia del foro di Modena, che annuncia che farà reclamo contro tale ordinanza. Il legale sostiene infatti la plausibilità di un sopravvenuto diritto reale di abitazione.

Non riconosciuto però in primo grado dal giudice Fanelli, secondo cui «è ragionevole pensare che» la sorella di Angiola, che oggi «a causa del deficit cognitivo di cui soffre non è più in grado di esprimere alcunché», «avrebbe voluto in primis chiedere alla sorella quantomeno un contributo alle spese e poi anche riavere la casa, per poterla magari locare».

O Angiola paga dei “sazi” arretrati o viene sfrattata, insomma. «Questa è una giustizia forte coi deboli e debole coi forti», tuona l’avvocato Miraglia. Che si chiede: «Dove andrà la signora con l’esigua pensione che percepisce, se non finire a carico dei Servizi sociali comunali, che saranno obbligati quindi a trovarle e a pagarle un altro alloggio?

Oppure si ritroverà in carico al figlio, unico parente che le sia rimasto in vita, che comunque è il reale proprietario di quella casa che lei è costretta a lasciare? A questo punto, per aiutare questa donna, che dobbiamo fare? Aprire una sottoscrizione e una raccolta fondi? Siamo all’inverosimile».

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