Trieste rifletta, giudichi gli uomini e scelga chi può darle un futuro
TRIESTE Oggi i triestini vanno alle urne e già questa notte sapremo il nome del nuovo sindaco. Poiché ci troviamo davanti a due candidati che esprimono modelli politici e culturali opposti, la scelta avrà conseguenze importanti sul futuro della città. Cosolini e Dipiazza — che pure sono due triestini abbastanza tipici e rappresentativi della popolazione che dovrà scegliere l’uno o l’altro — fanno parte di mondi lontanissimi tra loro, più di quanto per esempio non accadesse nella Prima Repubblica tra democristiani e comunisti.
Nella campagna elettorale hanno esibito un doveroso fair play, i loro contraddittori sono stati quasi sempre misurati. Ma la divaricazione, come gli elettori ben sanno per averli visti all’opera per molti anni al Comune e alla Regione, è evidente sin dall’impatto fisico e dalla maniera di comportarsi in pubblico.
L’uno si muove agilmente nella folla: strizza l’occhio, scherza e fa battute, sbandiera a ogni passo la sua capacità di comunicare. È sempre a suo agio. Attraversa disinvolto – come ha ampiamente ribadito nell’ultima campagna elettorale - i palazzoni di periferia e le vecchie osterie, i dibattiti con gli imprenditori e un certo tipo di salotti triestini. Viene dichiarato simpatico quasi all’unanimità.
L’altro al paragone negli stessi salotti e nelle stesse periferie è un po’ impacciato, ha insospettabili timidezze, ogni tanto la cravatta (quando c’è) sembra che gli vada di traverso, non distribuisce pacche sulle spalle e non dialoga con tutti con uguale facilità. Gli si riconoscono serietà e competenza, ma viene giudicato poco “comunicativo” persino dai compagni di strada che talvolta, ingiustamente, gliene fanno quasi una colpa.
Dunque se fare il sindaco di Trieste fosse un’ospitata a uno show in televisione non avremmo dubbi. Voteremmo subito per Roberto Dipiazza e ci godremmo lo spettacolo, dimenticandoci di Roberto Cosolini.
Tuttavia, come appare chiaro a tutti, e lo diciamo con grande rispetto verso ogni abilità affabulatoria, qui il punto è un altro. E occorre qualche riflessione in più. Infatti la valutazione che i cittadini chiamati alle urne dovranno fare è esclusivamente sulle capacità di ciascuno di guidare la città in un momento in cui essa si sta trasformando e affronta un futuro che va ancora definito, e poi declinato con onestà e ingegno in tutte le sue potenzialità. Con gli uomini giusti, senza che alle spalle dell’istituzione ci siano interessi oscuri e lobby segrete. Su questo, e solo su questo, Trieste deve pronunciarsi e scegliere il suo campione.
La campagna elettorale, diciamo la verità, non è stata un granché. Si è parlato molto di soldi e investimenti di là da venire, un po’ meno di diritti sociali — l’istruzione, la sanità, il lavoro — e quasi per niente di valori: come se non fossero infine questi ultimi a determinare lo sviluppo e l’identità di una città, a influenzare il benessere non solo economico dei suoi abitanti.
Nella valanga di parole e dibattiti, è certo che la partita più grande per gli anni a venire è sul Porto Vecchio. Quei primi 50 milioni disponibili annunciati dal governo Renzi hanno rinverdito sogni e progetti. L’avvio del risanamento di 60 ettari di città, uno spazio di grande pregio urbanistico e architettonico, sarà determinante non solo per il waterfront di Trieste, ma per la sua stessa essenza.
Per incoraggiare la cosiddetta “primavera” di Trieste — fatta di eccellenza scientifica, di vocazioni turistiche, di un porto più forte, di nuovi rapporti economici con l’Est e la Cina e persino di ansie e movide giovanili — Porto vecchio sarà il punto di non ritorno. Inutile qui raccontare nei dettagli i piani di recupero, quello che conta è la garanzia che il nuovo sindaco rispetti le attese dei cittadini e non degli affaristi.
Gli chiediamo sin da adesso — anche se non conosciamo ancora il suo nome — una gestione etica e trasparente della cosa pubblica. E su questo Il Piccolo vigilerà senza fare sconti. L’onestà e la competenza saranno i requisiti fondamentali di cui tener conto oggi nei seggi elettorali.
L’area a caldo della Ferriera di Servola è stata oggetto di grandi scontri, ma semplificando le posizioni sembrano queste: Cosolini interverrà se i livelli delle emissioni non scenderanno ai valori previsti, Dipiazza (che ha ignorato il problema quand’era sindaco, e quando alla fonderia non era stato avviato alcun risanamento) ha elencato dieci punti «necessari a rendersi effettivamente conto della situazione e agire di conseguenza»: ha promesso un tavolo con la proprietà e i comitati, e interverrà dopo una serie di controlli. Piani in definitiva abbastanza simili, perché certamente né Cosolini né Dipiazza vogliono che la salute dei loro concittadini sia messa a rischio.
Trieste ha dunque bisogno che siano riaffermati tutti i diritti dei suoi abitanti, dall’ambiente pulito al welfare e alle scuole efficienti. Ma per superare il suo momento di crisi dell’economia e dell’occupazione ha bisogno anche di una visione strategica. Non la città ripiegata su se stessa predicata dalla destra xenofoba e da chi ha lo sguardo rivolto all’indietro. Ma una Trieste più aperta all’esterno, con più sentimenti di inclusione e di scambio. Nel rispetto della sua tradizione.
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