Trieste, restauri e incompiute fra i palazzi di Cavana

Pesano crisi, beghe ereditarie e Patto di stabilità. Cantieri sospesi. Richiesti i locali d’affari
Cantieri sospesi, porte sbarrate ed edifici vuoti in Cavana
Cantieri sospesi, porte sbarrate ed edifici vuoti in Cavana

TRIESTE Da area degradata, tra sesso, droga e rock’n’roll, Cavana, cuore pulsante di Cittavecchia, grazie al risanamento del piano Urban, è diventata ormai un gioiellino. Ma in realtà una dozzina di questi edifici sono vuoti e abbandonati.

Lì si nascondono storie di privati o imprenditori scoraggiati dalla crisi, fallimenti, beghe ereditarie e un Patto di stabilità che incombe mattone su mattone. Anche se qualche successo trapela, dopo anni di portoni sprangati e qualche bivacco di senzatetto.

Piazza Cavana raccoglie armoniosamente dei palazzi restaurati, almeno in parte. Sulla destra, verso piazza Unità, restano ancora disabitati due imponenti edifici della famiglia veneziana Lorenzon. Gli esterni sono perfetti. E anni fa Antonio Lorenzon affermava che per creare un’opera prestigiosa ed economicamente impegnativa, Trieste doveva avere un Porto vecchio ripristinato. Oggi la sorella Anna glissa perentoriamente dicendo che la stasi dei lavori «riguarda la possibilità di spesa».

In via della Pescheria 8 invece un edificio, appartenente a persone non triestine, riserva una sorpresa: sembra vuoto, ma invece è appena stato rimesso a nuovo. Vicino, due palazzetti (ai civici 5 e 9), dai vecchi infissi e porte in legno sprangati, chiedono al contrario aiuto. Entrambi della stessa famiglia, irrintracciabile. Un’agenzia immobiliare ipotizza: con i prezzi del mercato odierno non ha senso investire.

«È vero, i valori sono calati anche qui - spiega Stefano Nursi, presidente provinciale della Fiaip -, ma Cavana malgrado 9 anni di crisi ha comunque “tenuto”, è diventata estremamente appetibile: siamo vicinissimi alla nuova movida, all’imminente Eataly e al nuovo indotto di turisti sulle Rive». Nursi però distingue: «I locali d’affari hanno avuto un incremento di valore significativo, il residenziale al contrario un crollo. Anche i triestini che vi abitavano hanno cercato di spostarsi».

Riprendendo via Cavana, in direzione piazza Hortis, all’incrocio con via Venezian, l’occhio cade su un altro edificio. Le finestre sono chiuse da pezze di sughero, esternamente è a posto, ma dentro? «Si trova al grezzo, ma è stato messo in sicurezza strutturale - spiega l’ingegner Marco Spalletti, coordinatore per la sicurezza -. I lavori sono fermi da un paio d’anni».

Lo scheletro vuoto è della Immobiliare Cavana srl da una decina d’anni, una delle società del gruppo trevigiano Lucchetta. «Volevano mettere a reddito - spiega l’ingegnere Fabio Marassi, progettista e direttore dei lavori -, con la crisi hanno rallentato».

Due gemelli, uniti da una parete. Via Felice Venezian 26 e 28 sono legati dallo stesso spiacevole destino: “herèditas damnòsa”. I quattro piani del primo, di fine ’700, mostrano cedimenti seri. Da poco il 96% dell’edificio è stato acquistato da un immobiliarista veneto che, se troverà l’accordo con l’altra proprietà ovvero lo Stato italiano - erede universale per mancata denuncia successoria -, entro un anno inizierà i lavori per creare un residence.

Dodici anni invece di vertenze giudiziarie tra gli eredi veneti arrivate forse al rush finale per i cinque appartamenti del palazzo a fianco. Il bene era indiviso e nessuno aveva intenzione di ristrutturare. «Nemmeno il piano Urban li ha solleticati - dice l’Enpa che si ritrova coproprietario per una quota ricevuta in eredità -. La prossima settimana faremo noi la messa in sicurezza della facciata: gli altri proprietari sono irreperibili».

Una storia più rassicurante, per due edifici simili in via San Michele 3 e 5. Da ex “casa fantasma”, ora l’edificio più grande ha accolto i primi nuovi proprietari dei 14 appartamenti, di cui solo tre ancora in vendita. Il numero 3, lasciato al grezzo, verrà messo in vendita in blocco. Il Patto di stabilità ha incastrato poi il rifacimento dell’edificio costruito nel 1651, se non prima, dalla famiglia Francol in via Crosada 13.

Di proprietà del Comune dal 1981, l’unica cosa interessante dall’esterno è quel bel panduro sulla grossa chiave d’arco. Da un lato «gli edifici in zona sono collegati all’imminente progetto di scavi della Soprintendenza», illustra Alberto Mian, direttore del Servizio gestione e controllo demanio e patrimonio immobiliare del Comune. Dall’altro «con le urgenze è rimasta in stand-by» spiega Andrea Dapretto, assessore ai Lavori pubblici. E la casa resta lì senza arte né parte, aspettando la fine della crisi.

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