Trieste, rapinarono la gioielliera, ora sono fantasmi
TRIESTE Tre anni fa Cristina Bari, titolare dell’oreficeria Ferluga, aveva addirittura chiuso la sua gioielleria di via dell’Istria e, sotto choc per la rapina subita, aveva svenduto gioielli e orologi. «Fuori tutto per rapina», aveva scritto. «La vita - aveva poi detto - vale più di qualsiasi altra cosa».
Domani i due presunti banditi che il 13 dicembre 2012 avevano messo a segno il colpo utilizzando lo storditore elettrico dovrebbero teoricamente essere in udienza davanti al gip Laura Barresi. Ma Klaudio Pecolaj, 52 anni, di Fiume, e Niksa Novakovic, 22 anni, pure di Fiume, per i quali il pm Antonio Miggiani ha chiesto il rinvio a giudizio, con ogni probabilità non saranno in aula.
Il motivo è semplice: potrebbero rimanere in Croazia (o dove sono) dal momento che l’unico provvedimento che è stato a loro inviato per la notifica è stata un semplice invito a eleggere il domicilio. Il pm Miggiani infatti non ha mai chiesto al gip un’ordinanza di custodia cautelare a carico dei due banditi. Che per la giustizia italiana così non sono nemmeno latitanti. Sono appunto - semplicemente - indagati in stato di libertà. Accusa: rapina aggravata. In particolare la proprietaria della gioielleria era stata immobilizzata con uno storditore elettrico e poi le era stato messo il nastro adesiviso sulla bocca. E infine era stata trascinata nel caveau.
Il colpo era stato messo a segno attorno alle 18.30, quasi all’ora di chiusura della gioielleria. Ad agire, per l’appunto, due malviventi. Il primo, distinto e ben vestito, aveva suonato il campanello di sicurezza della gioielleria ed era entrato con la scusa di farsi mostrare alcuni articoli.
A quel punto il secondo rapinatore si era intrufolato nel negozio: i due avevano immobilizzato la donna colpendola ripetutamente con il taser, un’arma che provoca spasmi e dolore alla vittima tramite scosse elettriche. Poi la titolare era stata anche legata sommariamente a una sedia. «Mentre ero a terra continuavano le scariche elettriche. Poi mi sono trascinata diestro al bancone e il bandito ha continuato a darmi scariche anche in testa», aveva raccontato ai carabinieri. In breve i rapinatori avevano svuotato la cassa, portando via l'incasso di giornata, per poi arraffare diversi preziosi. «Non ho fatto il conto di quanto sono riusciti a portare via - aveva spiegato la donna a caldo - ma parliamo di migliaia di euro». Poi i due erano scappati a piedi in mezzo alla gente senza che nessuno s’accorgesse di niente.
A un mese dalla rapina Cristina Bari aveva deciso di chiudere l’attività svendendo tutta la merce. «Non ce la faccio più», aveva detto. Lo choc per l’accaduto era stato tale da portare la proprietaria della gioielleria Ferluga a prendere una decisione che probabilmente, fino a quel terribile pomeriggio, mai avrebbe nemmeno lontanamente pensato di poter ipotizzare. «Non mi spiego un'aggressione così violenta. Non avevo mai avuto così tanta paura prima», aveva insistito. Aggiungendo: «La vita vale più di qualsiasi altra cosa. A questo punto meglio un chiosco ai Caraibi che rischiare la vita per lavorare qui». Parole dense di amarezza. «Se questo è il nostro Paese - aveva proseguito - e peraltro il fatto è successo a Trieste, che è sempre stata considerata un'isola felice, allora bisogna aprire gli occhi. Dobbiamo prendere coscienza che le cose sono cambiate anche qui. Preferisco la vita, magari con meno comodità materiali».
A identificarli, con non poche difficoltà, dando un nome ai volti filmati dalle telecamere, erano stati, dopo qualche tempo, i carabinieri. Ora l’udienza davanti al gip. Ma senza i rapinatori. Che di fatto rimangono dei fantasmi.
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