Trieste, ragazza incinta pestata dal compagno
TRIESTE Forse nessuno si era accorto delle urla che provenivano dai muri di casa. O chi ha sentito, non ha fatto nulla. Erano le urla di paura e di dolore di una giovane incinta. Bisognava che la ragazza fosse ricoverata in ospedale, lì e lì per partorire, perché qualcuno si rendesse conto di cosa subiva. Il compagno la picchiava. Lo faceva spesso, anche se la fidanzata era in gravidanza. Ma al Burlo, durante le visite, è stato subito evidente ai medici e agli infermieri che qualcosa non andava nella vita della paziente. Lei, di origini straniere ma residente a Trieste, ha raccontato tutto: le minacce, le violenze, la preoccupazione per il bimbo in grembo.
La direzione sanitaria dell’Irccs ha allertato immediatamente il Tribunale per i minorenni. E la Procura ha aperto un’indagine: l’uomo, rinviato a giudizio dal pm Federico Frezza, deve comparire in udienza davanti al gup Laura Barresi. La segnalazione del Burlo è articolata. I fatti descritti nel documento risalgono all’estate del 2016, nel mese in cui la donna sta per dare alla luce il bimbo. Durante la degenza al Day Hospital ostetrico, la vittima fa riferimento ai problemi economici ma anche alle gravi difficoltà di rapporto con il convivente.
Dal colloquio psicologico emerge anche il passato traumatico della giovane, prima del suo trasferimento a Trieste: il padre manesco e i maltrattamenti dei partner precedenti. La straniera cita in particolare un episodio: è circa all’ottavo mese di gravidanza quando il fidanzato, in seguito a un’accesa discussione, le mette le mani attorno al collo bloccandole il respiro. Lui molla la stretta solo quando si accorge che la ragazza sta per vomitare. Ma la donna viene picchiata anche altre volte con pugni e calci. Qualche giorno prima del parto è costretta a fuggire di casa e chiamare i carabinieri per evitare l’ennesima violenza.
«Ti faccio partorire prima», è la minaccia dell’uomo. Ma la convivente non lo denuncia. Spera che prima o poi il compagno cambi. Che impari a controllare la propria rabbia e i propri istinti. Dopo la gravidanza la giovane madre accetta però di cominciare un percorso al centro Antiviolenza del Goap, ma rifiuta l’accoglienza in una struttura per mamme con bambini. Sostiene che in caso di emergenza chiamerà i carabinieri e che, all’occorrenza, domanderà aiuto a una vicina di casa.
Nel frattempo si muove la Procura. Si scopre che ragazza ha sopportato quelle brutali violenze per due anni. L’imputazione parla chiaramente delle condotte «plurireiterate» del convivente e delle percosse con calci e pugni. Un incubo, scrivono proprio gli inquirenti, che la donna ha dovuto subire in silenzio «anche quando era incinta».
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