Trieste, quel futuro spezzato per i lavoratori della Wärtsilä: «Mia figlia capisce che papà ha paura. Cerco di farmi forza»

I timori degli operai più giovani. «Che ne sarà dei progetti di famiglia?»
Laura Tonero
Paolo Bertuzzi
Paolo Bertuzzi

TRIESTE «In fabbrica adesso si vedono solo musi lunghi, si raccoglie tanta preoccupazione e, in alcuni casi, vera e propria disperazione». L’atmosfera all’interno di Wärtsilä è pesante. I dipendenti si confrontano, cercano di capire chi resterebbe dentro e chi invece fuori stando alla lunga lista nera da 450 esuberi.

Poi a casa tocca fare i conti con quelli che erano i progetti familiari, con la vita che tra qualche mese potrebbe venire stravolta dalla spietata decisione dell’azienda.

Paolo Bertuzzi, ad esempio, 35 anni e da 12 dipendente nello stabilimento di Bagnoli della Rosandra, fino allo scorso giovedì mattina camminava tre metri sopra il cielo dalla felicità, perché il prossimo mese di dicembre sua moglie darà alla luce la loro prima figlia. «Sto costruendo una famiglia, e ora vivo in una condizione di totale incertezza - afferma -. Non è ancora chiaro infatti se il mio ufficio rientra o meno nel piano dei tagli. Per me e mia moglie questo sarebbe un momento di massima felicità, uno dei più gioiosi che regala la vita, ma ora non riusciamo a godercelo a pieno perché sporcato da questa notizia».

Il giovane racconta: «Io sono stato “adottato” da Wärtsilä, perché finite le scuole superiori al Volta, sono subito entrato in azienda come disegnatore nell’ufficio tecnico, e lì sono cresciuto da tutti i punti di vista, professionalmente e come uomo. Sono riuscito a fare carriera, oggi sono la figura che si interfaccia con le problematiche operative che i nostri clienti hanno sul campo e tenta poi con il dipartimento di risolverli. L’azienda mi ha dato molto, ma anche noi dipendenti abbiamo dato il massimo, per questo la decisione di chiudere, peraltro comunicata in quel modo, ci fa ancora più male». Per Bertuzzi ora «è venuto a mancare quel rapporto di fiducia che mi rendeva orgoglioso di lavorare in uno stabilimento che, senza produzione, non avrebbe senso di esistere. Confido in una sinergia tra le istituzioni e nella posizione strategica di Trieste».

Andrea Volini, 39 anni, di figlie ne ha già due, una di 5 e l’altra di 9 anni. Lavora per Wärtsilä dal 2004. È impegnato negli uffici della produzione. «Io rientro al cento per centro tra quelli che intendono mandare a casa viste prime le comunicazioni», constata. «La stabilità economica che ci garantiva questa azienda - così Volini - ci ha consentito di far riprendere gli studi universitari a mia moglie. Le manca un anno alla laurea triennale che le consentirà di aspirare ad una posizione lavorativa migliore. Quindi, nel caso in cui le cose dovessero andare male, dovremo pensare a come gestire la nostra economia familiare fino a quando lei non si sarà laureata. Ci tengo che lei concluda gli studi, quindi stringeremo i denti e vedremo come fare».

Il clima a casa, ammette Volini, da giorni è particolarmente pesante. «Io e mia moglie ci facciamo forza: la bimba più grande ha capito che il papà è giù di corda, la piccola grazie a dio non comprende». E poi constata: «Io tra poco compirò quarant’anni e se le cose vanno male forse avrò qualche chance lavorativa, mi adatterò, ma in qualche modo troverò qualcosa da fare, mentre leggo e capisco la disperazione negli occhi di colleghi più grandi, magari a pochi anni dalla pensione, che non sanno dove sbattere la testa». Dopo la riunione dello scorso giovedì, «io avevo capito subito la gravità della situazione, mentre altri - sostiene - non avevano messo a fuoco e se ne stanno rendendo solo conto in queste ore».

Davide Minghinelli ha 48 anni e dal 2004 è alle dipendenze di Wärtsilä. Oggi è impegnato nell’area di automazione dei motori. È separato e ha una figlia. «Sono ancora in fase di elaborazione - ammette - perché negli anni abbiamo già vissuto periodi di ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali, ma questa è davvero pesante. Ho vissuto già percorsi simili perché prima di entrare in questa azienda ho lavorato in Ferriera e per la fallita Meloni, però avevo un’altra età e impegni familiari e economici diversi». Minghinelli non è ottimista. «Scelte simili si comunicano quando c’è già una decisione ferma - sottolinea -, e comunque la direzione ora è chiara, e prevede di smettere la produzione. Bisognerà capire quale sarà il percorso che intendono seguire per raggiungere quell’obiettivo».

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