Trieste, prete alle terme con il lascito del fedele
TRIESTE Un milione e mezzo di euro piovuto dal cielo. Una benedizione per le casse della chiesa. Che però non ha sortito l’effetto sperato dal benefattore. Perché quell’eredità ha tolto la pace alla piccola comunità cattolica di lingua tedesca di Trieste.
Il sospetto di alcuni consiglieri, infatti, è che il generoso lascito di Alfredo Riedel, un fedele particolarmente benestante, sia stato gestito in maniera quantomeno disinvolta dai vertici della comunità stessa. Di lì la scelta di portare in tribunale la presidente, Margareta Harasin, e il rettore, il sacerdote Klemen Zalar.
A firmare la citazione davanti al giudice tre consiglieri della comunità, Gisela Zimmermann in Riggert, Serafino Gega e Giampaolo Zecchin. Citazione che ieri mattina è stata depositata nella cancelleria del tribunale dall’avvocato Fulvio Vida.
La bufera sui conti si è scatenata dopo che don Klemen Zalar, in una e-mail inviata ad componenti del consiglio direttivo aveva candidamente ammesso di «essere andato alle terme e aver pagato con il bancomat della comunità».
Gli altri sono rimasti gelati, senza parole. Perché nelle volontà del defunto quei soldi, mantenuti in tre conti correnti della comunità con il beneplacido della Diocesi di Trieste, dovevano servire per le esigenze della comunità stessa. Ma così non è andata.
La vicenda inizia il 24 ottobre del 1996 con il testamento «del compianto associato Alfredo Riedel», così si legge nella citazione. Il quale aveva disposto che, alla sua morte, una parte consistente dei beni andasse «alla predetta comunità cattolica di lingua tedesca e a chi la rappresenta legalmente per i suoi bisogni e attività».
Fin qui tutto bene. Ma i problemi sono iniziati dopo la morte di Alfredo Riedel, avvenuta nel 2014. Infatti così si legge nella citazione: «La presidente Harasin aveva disposto di rilevanti somme, depositate sui tre conti della comunità, in maniera poco ortodossa e comunque senza alcuna autorizzazione o ratifica da parte del direttivo».
Alcuni consiglieri, tra i quali Gianpaolo Zecchin, espressamente codelegato alla gestione finanziaria della comunità, avevano sollecitato ripetute volte la presidente stessa affinchè fissasse una riunione del direttivo, in maniera tale da esaminare la situazione finanziaria e, in particolare, quella delle spese effettuate dalla stessa presidente.
Un identico sollecito era stato esteso anche al rettore Klemen Zalar, il quale, si legge ancora nell’atto giudiziario, al contrario di quanto previsto dallo statuto «pare abbia utilizzato abitualmente, con disinvoltura, e senza delega alcuna, un bancomat della comunità anche per spese estranee alle finalità della stessa».
Una “libertà”, come detto, che il sacerdote aveva anche candidamente e ammesso scrivendo in una e-mail di aver usato il bancomat della comunità per pagare le terme. Precisazione accompagnata da un messaggio perentorio: «Alcune spese le decido io e nessun altro».
A fronte dell'inerzia e del silenzio della Harasin, i tre consiglieri l’hanno richiamata più volte a fornire un chiarimento della situazione contabile della comunità cattolica tedesca, mettendo a disposizione del consiglio stesso la copia di tutta la documentazione relativa all'utilizzo dei depositi bancari intestati alla comunità stessa.
Ma, come si legge nella citazione «tale intimazione non ha avuto riscontro e senza effetto è risultato il successivo incontro con il vicario del vescovo, monsignor Pieremilio Salvadè, avvenuto l’11 marzo, durante il quale i consiglieri avevano sollecitato caldamente la Diocesi ad intervenire per far sì che la presidente Harasin e il rettore Zalar rendessero conto del loro operato, anche per evitare che la situazione venisse trasposta in sede giudiziaria con relativa incisione della reputazione di tutta la comunità». Ma così non è stato e gli atti sono passati al tribunale.
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