Trieste, per le case di riposo un “giro di vite” dalla legge regionale
Oltre 70 case di riposo cosiddette “polifunzionali” e quindi con caratteristiche non sanitarie ma alberghiere che ospitano anziani a Trieste stanno aspettando che la bozza di nuovo regolamento scritta dalla Giunta Serracchiani vada o non vada in porto diventando legge effettiva. È dal dicembre 2008 che un regolamento c’è, ha il numero 333, ma non è stato mai applicato perché le sue stringenti regole su stanze, luci, metrature, servizi igienici, mobili, letti, aria condizionata e così via avrebbero messo fuori norma più della metà di questo vasto mondo imprenditoriale che vive, in appartamenti sparsi per la città, di rette per gli anziani. In certi casi con la sorveglianza dell’Azienda sanitaria. Ma non sempre. Di fatto quel regolamento, forse per la minaccia della rivoluzione dei “padroncini” di casa, è rimasto inosservato.
La bozza licenziata nei giorni scorsi crea una gerarchia fra struttura e struttura e obbliga chi vuole ospitare persone autosufficienti a caratterizzarsi secondo due categorie (comunità familiare con sola assistenza personalizzata su richiesta e residenza assistenziale con assistenza di base e notturna). Per non autosufficienti cinque categorie di struttura, con differente dosaggio di assistenza infermieristica. Ogni casa di riposo dovrà autocertificare le proprie condizioni, dopo la verifica la Regione potrà accreditare (o no) la struttura, in certi casi anche convenzionandola. Se in convenzione col servizio sanitario, quella residenza dovrà rispondere ai bisogni socio-assistenziali pubblici, e il servizio pubblico dovrà poter garantire personale specialistico e infermieristico adeguato. Una rivoluzione?
Finora questo mondo oscuro è rimasto un servizio e un affare fra privati, ma non piccola cosa visto che a Trieste sono circa 3000 le persone in casa di riposo, oltre 10 mila i letti attivi in regione, con una drammatica carenza di strutture per le emergenze nuove, i problemi cognitivi gravi. «Non è vero che a Trieste ci sono, salvo quelle esplicitamente note, case di riposo adatte ai gravi non autosufficienti, il fatto è che vengono accolti lo stesso, ma se uno andasse a controllare, quelle strutture verrebbero chiuse» afferma Claudio Berlingerio, imprenditore del settore che ha contribuito alla stesura dell’ultima legge in materia nel 1997 e dato vita alla Rsa Mademar (oggi in mano a una cooperativa e in gravissimo dissidio col proprietario che l’accusa di malfunzionamento), ma anche presidente provinciale della Fisa (Federazione imprese sanità e assistenza) e neocoordinatore di Confimprese, nuova aggregazione di settore all’interno della Camera di commercio, nata in polemica con Confcommercio. Per Berlingerio «non sarà la Regione a far chiudere case di riposo sulla base di secchi parametri, ci sarà tempo due anni per mettersi in regola, sarà il mercato a decidere: la maggior parte delle case a Trieste finirà molto in basso nella graduatoria, e allora le famiglie preferiranno spendere per una badante, oppure saranno di nuovo i nipoti a fare più spesso visita ai nonni». E la casa “alberghiera”, con rette costosissime, non sarà più competitiva.
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