Trieste, pensionata batte Equitalia in tribunale

Sentenza favorevole a una triestina: cancellato dalla prescizione un debito da oltre 50mila euro. Ne pagherà 6mila
Lasorte Trieste 24/02/17 - Tribunale transennato
Lasorte Trieste 24/02/17 - Tribunale transennato

Deve aver rischiato un mezzo infarto la settantenne che un anno e mezzo fa si è vista recapitare a casa una cartella Equitalia da oltre 50mila euro. Ma la signora, una ex commerciante in pensione, ora può stappare una bottiglia di spumante e forse di più: di quella cifra deve pagare soltanto 6mila euro. Il resto è prescritto.

Tutta colpa di un pasticcio burocratico in cui è incappata l’ex società di riscossione nel calcolare ciò che effettivamente andava notificato e cosa no, proprio perché scaduti i termini di legge. Sentenza alla mano, il caso potrebbe fare scuola e allargarsi a macchia d’olio su chissà quanti professionisti triestini alla prese con debiti pendenti e annualità da versare.

I fatti. Il 9 marzo 2016 Annamaria Scognamiglio, questo il nome della settantenne, riceve una “intimazione di pagamento” con una ventina di cartelle che contengono contribuiti previdenziali e quote Irpef non ancora saldati. Sono 52.531,93 euro in tutto, per l’intero arco temporale che va dal 2000 al 2010. Nello stesso documento Equitalia precisa che la signora era già stata sollecitata in precedenza con regolari avvisi. Che però, obbietta la donna, non sarebbero mai stati recapitati. Con il risultato di trovarsi, a marzo dello scorso anno, l’intera cifra sul groppone. Questa, almeno, la sua versione. In buona sostanza “l’intimazione di pagamento” impugnata poi in tribunale, racchiudeva tutte le cartelle di pagamento che a detta di Equitalia sarebbero state trasmesse nel corso degli anni alla commerciante.

Il braccio di ferro di Annamaria Scognamiglio, difesa dall’avvocato Cristiano Gobbi, si è giocato sulla prescrizione dell’intero periodo considerato che va dal 17 maggio 2001 (per il primo debito del 2000) al 3 luglio 2010. Tecnicamente, l’ultima cartella dichiarata prescritta e quindi “non valida”, cioè fuori tempo, risaliva al 3 luglio 2010, notificata nel 2016. Anche questa, trascorsi oltre cinque anni, è andata in cavalleria. I due fronti si sono battuti a colpi di normative e tempistiche: da una parte l’ex società di riscossione, secondo cui i termini di prescrizione scattano appena dopo dieci anni dalla notifica; dall’altra la settantenne che si è battuta per accorciare l’asticella a cinque, sia per l’Irpef che per i contributi previdenziali. In pratica, dunque, tutti i debiti riportati nelle cartelle da notificare nei cinque anni antecedenti al 2010 sono stati cancellati. Anche se, va detto, quando l’avvocato ha depositato il ricorso, Equitalia ha riconosciuto che almeno una metà della cifra richiesta era sbagliata. Andava comunque prescritta: quei soldi non erano dovuti. Ma se la settantenne non si fosse appellata, li avrebbe pagati comunque.

La disputa legale però le ha riconosciuto anche il resto. Nel periodo del processo, peraltro, la Cassazione a Sezioni unite è intervenuta per dirimere un’analoga vicenda, alla quale il difensore della donna ha potuto fare riferimento. «La mia cliente – racconta l’avvocato – era veramente spaventata. Per una pensionata la cifra era davvero molto ingente». Anche perché non era possibile concordare alcuna rateizzazione; le quote mensili sarebbero risultate troppo elevate. Alla fine la signora l’ha spuntata, proprio tre giorni fa, con la sentenza del Tribunale di Trieste - Sezione lavoro: tolto quanto il giudice ha dichiarato “non dovuto” a Equitalia, la pensionata adesso si troverà a pagare esattamente 6.112 euro, riferiti alle cartelle notificate nel febbraio 2013. Potrà saldare il debito stabilito dal tribunale in settantadue comode rate.

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