Trieste: pediatra con la tubercolosi, assalto delle mamme agli ambulatori. Via ai controlli su 3.500 bimbi

A migliaia in cerca di informazioni dopo la scoperta della pediatra malata. Lunedì si comincia con le famiglie programmate, quelle già contattate dall’Asuits. Il numero verde 800 991170 intasato da mille telefonate in poche ore: da giovedì mattina raddoppiate le linee (da 6 a 12)
Genitori al Burlo in cerca di notizie (foto Bruni)
Genitori al Burlo in cerca di notizie (foto Bruni)

TRIESTE. Il day after è una mattinata di code in ambulatorio e di centralini inondati da migliaia di chiamate. C’era da aspettarselo dinnanzi all’allarme suscitato a Trieste dal caso della pediatra ammalata di tubercolosi e dalla decisione dell’Asuits di sottoporre a controlli i 3.500 bambini della città venuti a contatto nell’ultimo anno con la professionista durante le vaccinazioni. Per 500-600 bimbi, quelli che la dottoressa ha avvicinato negli ultimi due mesi, scatta pure la profilassi.

Ieri il numero verde messo a disposizione appositamente dall’Azienda, l’800-991170, era continuamente occupato. Impossibile parlare con gli operatori, tanto che la dirigenza ha dovuto attivare altre sei linee, attraverso le quali è ora possibile prenotare gli appuntamenti.

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Ma quella di ieri è stata anche una giornata di rabbia. E tanta. La rabbia delle mamme in attesa con i figlioletti in braccio nella sede del Dipartimento di Prevenzione del comprensorio di San Giovanni in via Ralli 3. Chi per fare il test al bambino, chi per cercare qualche informazione.

«Il numero verde è inaccessibile - protestano un po’ tutte - non sappiamo come fare». È il commento più morbido. Perché c’è chi ritiene inaccettabile quanto avvenuto. «Questo è il fallimento della sanità triestina e italiana» afferma la signora Alessandra Marcusa uscendo dalla palazzina con Vivian, suo figlio.

E ancora: «Ritengo pazzesco pensare che il mio bambino possa essere stato contagiato da una dottoressa mentre stava facendo un vaccino. Abbiamo letto che quella pediatra stava già male da un anno, possibile che non abbia fatto nulla? Che abbia continuato a lavorare tranquillamente accanto ai bambini? Queste sono cose che accadono nei Paesi sottosviluppati, non qua. Come possiamo accettare che i nostri bimbi, non ancora svezzati, si trovino a sopportare terapie? È una vicenda gravissima, tutta l’Italia deve sapere cosa sta succedendo a Trieste».

Una decina, in mattinata, i bambini trattati con il “Mantoux”, un test effettuato iniettando sotto la cute una piccola quantità di antigene che permette di fare la diagnosi. Sono i bambini ritenuti “prioritari”, vale a dire i più piccoli o con problemi di salute. Ma è da lunedì che si entrerà davvero nel vivo, scorrendo le liste programmate, per un totale di 135 bambini al giorno suddivisi nei tre ambulatori del Dipartimento di Prevenzione di via Ralli, attivi dalle 8 e 30 del mattino alle 19 e 30.

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Il direttore generale dell'Azienda sanitaria, Delli Quadri, con alcuni suoi collaboratori e medici durante la conferenza stampa (foto Silvano)

«Devo ammettere che la cosa più critica è la gestione delle informazioni» afferma Daniela Bais, l’addetta dei Dipartimento che ieri coordinava gli accessi. E aggiunge: «Cerchiamo di rasserenare le mamme e i papà che vengono, spiegando loro che il rischio di contagio è davvero quasi inesistente. Ma non è facile.

Comunque la maggior parte delle persone che telefonano al numero verde sono comprensive, gentili e ci ringraziano, anche se non manca chi è sospettoso, preoccupato e aggressivo. Come se ci fosse qualcosa di losco sotto. Le linee sono state prese d’assalto subito dopo che la notizia della pediatra ammalata si è diffusa sul web attraverso il vostro giornale. E poi non stanno chiamando soltanto i 3.500 genitori dei bambini da controllare, ma tante altre persone che vogliono capire meglio».

C’è anche chi chiama il centralino più volte, proprio per avere conferma della risposta data. Ma spesso, praticamente sempre, si trova occupato. «È preso d’assalto» ammette Bais. Non tutti si lamentano, comunque. «Certo - dice una giovane mamma appena uscita dall’ambulatorio - non possiamo nascondere la nostra preoccupazione. Ma devo dire che il sistema sta funzionando».

C’è poi chi si domanda come mai i genitori, che sono a contatto diretto con i figli, non devono fare il test. «Perché noi no?» chiede una signora venuta qui, in via Ralli, a caccia di delucidazioni. «Possiamo stare tranquilli?». I bimbi, dal canto loro, non appaiono più che tanto preoccupati. Merito forse dei cerottini colorati che le infermiere attaccano sul braccio dopo la punturina, quelli con i personaggi dei cartoni animati.

Intanto, mentre passano le ore, emergono altri particolari sulla pediatra ammalata di tubercolosi, confermati da più fonti. Perché la dottoressa che faceva i vaccini non si era accorta dell’infezione? Perché non ha dato peso ai sintomi che aveva da un anno? Era una stakanovista del lavoro, dicono i colleghi. E pensava di avere un tumore. Avrebbe scoperto la tubercolosi appena lo scorso 15 settembre, giorno in cui è stata ricoverata.
 

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