Trieste, pasticceria Saint Honorè, titolare verso il processo
Chiesto il rinvio a giudizio per l’imprenditore Roberto Mosenich, accusato di maltrattamenti nei confronti del personale
Lasorte Trieste 31/01/19 - Opicina, Pasticceria Sain Honore Chiusa
TRIESTE Rischia il processo il sessantacinquenne Roberto Mosenich, il titolare della pasticceria “Saint Honorè” di Opicina accusato di maltrattamenti, lesioni e molestie nei confronti del personale. Il pm Maddalena Chergia, il magistrato che ha condotto le indagini, ha chiuso l’inchiesta e domandato il rinvio a giudizio. L’imprenditore, difeso dall’avvocato Paolo Codiglia, da quanto risulta è ancora ai domiciliari, confermati dal Tribunale del Riesame. La misura cautelare era stata emessa dal gip Guido Patriarchi a fine gennaio. Stando all’accusa formulata dal pm, in pasticceria Mosenich si comportava come una sorta di “padre padrone”.
Il magistrato ha sentito le testimonianze di sette dipendenti; dai loro racconti è emerso che l’imprenditore usava spesso le manieri forti. «Esseri da sfruttare», come dichiarato da una delle vittime. «Mi dava della deficiente e della ignorante, della tr…», ha riferito un’addetta. «Mi diceva che mio marito aveva fatto bene a lasciarmi e che quindi potevo uccidermi, perché tanto non servivo a niente». Parole pensanti a cui seguivano vere e proprie minacce di licenziamento o di restare senza stipendio.
I dipendenti, secondo quanto riferito nelle deposizioni, erano costretti a ore di lavoro non retribuite o a dover svolgere mansioni non di competenza. Chi sbagliava doveva sottoporsi alla pulizia dei macchinari più ingombranti. La sfogliatrice, ad esempio, che per metterci le mani sopra bisognava sposare parecchi sacchi di farina da 25 chili.
In pasticceria e nel laboratorio non volavano solo offese e ingiurie ma anche percosse. Una dipendente ha detto di essere stata aggredita con pugni sulle spalle, tirate di orecchi e di capelli. Così un’altra collega, pure lei picchiata e, talvolta, palpeggiata. «Mi diceva che ero grassa, brutta e che potevo fare soltanto la serva». Un addetto ha raccontato che l’imprenditore lo ricopriva spesso di insulti e che gli metteva le mani addosso. Mi diceva «deficiente», «cellula cancerogena». L’uomo avrebbe svolto più ore di quanto previste dal contratto e spesso non retribuite. Mosenich, inoltre, gli avrebbe versato solo una parte dello stipendio in contanti, a fronte però di una busta paga che riportava la cifra intera.
Anche un’altra dipendente ha confermato i maltrattamenti: insulti quotidiani («buona a nulla», «non capisci un caz...»). Il proprietario della pasticceria le avrebbe afferrato l’orecchio sinistro torcendoglielo e tirandoglielo. La donna, inoltre, ha lamentato di essere stata molestata: dopo il licenziamento la dipendente era ritornata in pasticceria per restituire la divisa; in quell’occasione avrebbe subìto un palpeggiamento, in spogliatoio. C’era poi chi era obbligato a pulire le fughe del pavimento utilizzando lo stuzzicadenti. Punizioni o, meglio umiliazioni, che rendevano insopportabile il posto di lavoro, in una pasticceria ritenuta tra le migliori a Trieste. —
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