Trieste, pasti inadeguati a Cattinara. I dietisti ora alzano la voce

L’Ordine delle professioni sanitarie invoca la riforma della ristorazione ospedaliera e sollecita la gara d’appalto. «Inaccettabile proporre ogni giorno semolino e purè»
Una delle due Torri dell’ospedale di Cattinara
Una delle due Torri dell’ospedale di Cattinara

TRIESTE I dietisti del Friuli Venezia Giulia chiedono la riforma della ristorazione ospedaliera, dopo che le analisi dell’Università di Trieste hanno dimostrato che per anni il cibo somministrato a pazienti e personale era gravemente privo di principi nutritivi e antiossidanti. Ora si muovono anche gli specialisti, con una lunga presa di posizione dell’Ordine regionale delle professioni sanitarie, la cui presidente Susanna Agostini è dietista dell’Azienda sanitaria di Trieste e Gorizia.

Gli esperti di nutrizione non hanno in verità mai battuto un colpo sulla qualità del cibo offerto negli ospedali anche sotto la loro supervisione, ma Agostini scrive nella sua lettera che i professionisti «attendono da anni una nuova gara d’appalto», visto che l’affidamento attuale risulta prorogato di anno in anno addirittura dal 2011. La presidente spiega che «la letteratura scientifica ha già da tempo evidenziato vantaggi e svantaggi dei diversi metodi di preparazione dei pasti, non solo sui contenuti in nutrienti, ma anche sulle qualità organolettiche degli stessi».

La categoria fece pervenire le sue osservazioni già nel 2015, al tavolo tecnico costituito dalla Regione attraverso l’allora Ente gestione accentrata dei servizi (Egas), per lavorare all’idea di un capitolato unico, che cancellasse le differenze di gestione ancora in vigore fra i vari territori del Fvg. «Già allora – dice Agostini – le valutazioni furono fatte in un’ottica di contrasto alla malnutrizione ospedaliera, problema troppo sottovalutato, spesso presente già all’inizio del ricovero, che si acuisce durante la degenza, particolarmente negli anziani e nei lungodegenti, e comporta ridotta risposta alle terapie, ritardo nelle guarigioni e allungamento dei tempi di degenza».

La dietista sottolinea che non è solo la qualità delle preparazioni fresco-caldo e cook and chill a essere sotto accusa, ma il fatto che «semolino, stracchino e purè diventano la routine per la proposta quotidiana soprattutto agli anziani: inaccettabile». E secondo Agostini non è inoltre possibile pensare di gestire la malnutrizione ospedaliera attraverso integratori da associare a pasti insufficienti e sgradevoli.

E di malnutrizione si parla non a caso, dopo la rivelazione della comunicazione inviata a fine 2018 dai laboratori dell’Università all’Azienda sanitaria di Trieste, dopo le analisi ordinate dall’allora direttore generale Adriano Marcolongo, per conoscere la qualità del cibo. L’esame condotto sugli alimenti preparati dalla società Serenissima disse all’epoca che verdure, carne e pesce registravano bassi valori di antiossidanti (+227% dei perossidi nel manzo cucinato), drastica riduzione delle vitamine (–90% nelle verdure) e perfino cattivo odore, a causa della degradazione dei composti azotati nel pesce.

A nome dei dietisti, l’Ordine chiede «capitolati con indicazioni precise rispetto alla qualità delle materie prime, alle tecnologie e ai tempi per allestimento e veicolamento dei pasti. La qualità delle materie prime deve essere la più elevata possibile», anche se ciò «implica un impegno finanziario di non poco conto».

Secondo Agostini, i contratti dovranno poi prevedere «diete speciali personalizzate, menù a consistenza modificata e menù ad elevato contenuto in energia e proteine, sufficientemente vari e comprensivi di spuntini suppletivi». —


 

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