Trieste, parla Ugo Loeser: «L’era del rigore è finita. Draghi è la scelta giusta per usare i fondi europei»

Il parere dell'amministratore delegato e direttore generale di Arca Fondi, principale società di gestione del risparmio italiana
Ugo Loeser
Ugo Loeser

TRIESTE Ugo Loeser, triestino, è amministratore delegato e direttore generale di Arca Fondi Sgr, la principale società di gestione del risparmio italiana, dal marzo 2011. Ha cominciato la carriera nel mondo dell’investment banking internazionale nel 1990 a Londra, presso Goldman Sachs, dove si è occupato di sviluppo di modelli matematici applicati ai derivati con economisti del calibro di Robert Litterman e del premio Nobel Fischer Black. Va ricordato che Loeser ha di recente aggiunto una seconda vocale “e” al cognome per valorizzare le origini familiari asburgiche.

Loeser, la scelta di Draghi non è avvenuta sotto la spinta dei mercati finanziari come ai tempi di Carlo Azeglio Ciampi e Mario Monti ma sembra una scelta obbligata per dare un governo al Paese nell’emergenza pandemia. Che ne pensa?

Nel 1995 con Ciampi salvò l’Italia della lira che rischiava di essere espulsa dall’allora Sistema monetario europeo. Monti arrivò al governo con un bagaglio di politiche rigoriste e si guadagnò il rispetto dei mercati. Infatti lo spread iniziò subito a calare. Draghi, da governatore della Banca centrale europea, si presenta come l’autore del quantitative easing che sta proteggendo anche l’Italia dalla speculazione finanziaria. Nonostante gli squilibri della finanza pubblica oggi la nostra economia sta mostrando una notevole resilienza di fronte alla crisi pandemica. Anche per questa ragione lo spread è sotto controllo.

I mercati credono alla prospettiva di un governo tecnico oppure si fidano del prestigio di Draghi?

Non solo si fidano di Draghi ma sono disposti a credere nelle potenzialità di riscatto di un Paese che è sempre riuscito a risollevarsi anche nelle più gravi emergenze, come è accaduto nel 2010-2011 nel pieno della crisi del debito sovrano. Vedremo se ci sarà un adeguato supporto da parte del Parlamento a questa scelta.

Due anni fa Conte ha costituito il governo giallorosso anche per la pressione dei mercati di fronte ai timori di una deriva sovranista. Oggi qual è l’umore?

In piena pandemia il nostro futuro è legato alla nostra capacità di integrarci con l’Europa. E credo che ormai lo si sia capito. Vedo fiducia nel nostro Paese.

La pandemia ha cambiato i paradigmi della crescita. L’austerity a tutti i costi non è più il mantra dei mercati?

Durante la crisi del debito sovrano i mercati hanno combattuto l’azzardo morale di quei Paesi poco virtuosi, compresa l’Italia, che pensavano di approfittare della moneta unica per non rispettare i parametri sul debito-Pil, imposti da Maastricht, scaricandone il costo sugli altri Paesi. Il Whatever it takes di Draghi ha messo la parola fine a quell’azzardo morale.

Addio alle politiche rigoriste?

Oggi la tragedia del Covid ha messo in ginocchio tutte le economie e non si può pensare di uscire da questa crisi sulle macerie del sistema economico, produttivo e finanziario di un Paese. Le politiche monetarie e fiscali sono tutte focalizzate sui nuovi principi di solidarietà. Gli interventi della Banca centrale europea garantiscono che le attività produttive non debbano chiudere.

Ma come evitare che la pandemia incenerisca la crescita economica?

Non servono i sussidi ma bisogna utilizzare le risorse che abbiamo: Recovery Plan e Next Generation. Bisogna investire in un nuovo Rinascimento che dia lavoro e benessere a tutti. Draghi è consapevole che la spesa pubblica improduttiva non è accettabile. Con la sua autorevolezza potrà garantire all’Europa che l’Italia ha un progetto di cresciuta sostenibile e il debito italiano non rappresenta più un problema.

Quali saranno le sue prime mosse?

Credo stia elaborando un piano di impiego dei fondi del Recovery Plan. L’Italia dovrà utilizzare queste risorse nei nuovi paradigmi economici che creano valore nel futuro: la digitalizzazione, i big data, l’economia della conoscenza e naturalmente l’assistenza sanitaria. La gestione della pandemia deve essere infatti la prima preoccupazione. Abbiamo visto che qualsiasi difficoltà sulla distribuzione dei vaccini viene accolta malissimo dai mercati. Si tratta di una operazione imponente la cui esecuzione desta qualche preoccupazione.

Cosa pensa del Report di Ambrosetti sull’economia della Venezia Giulia?

Valorizza i punti di forza di Trieste come il porto, il recupero del Porto Vecchio, la scienza. Poi ci sono i problemi legati alla demografia di una città anziana e alla necessità di valorizzare i talenti che spesso fuggono da una città emarginata dal punto di vista dei collegamenti. Bisogna ripartire pensando a un grande progetto di integrazione della Venezia Giulia a livello europeo. La regione deve ricollegarsi a un modello di macroregione come poteva essere la vecchia Comunità Alpe Adria con Austria e Germania, sfruttando anche l’impatto e le connessioni dei capitali tedeschi che già gravitano sul porto di Trieste. Penso a un modello Alto Adige capace di connettersi all’economia austriaca e tedesca.—


 

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