Trieste, obeso e malato. «Colpa dei capiufficio»
TRIESTE Troppo caldo, poca aria in ufficio per un triestino di 150 chili. Questo rilevante “discomfort” termico potrebbe aver causato a un impiegato di un ente pubblico di Trieste una lunga e articolata serie di sintomi di malattie che vanno dalle banali cefalee alla diarrea cronica, dalla tachicardia, alla perdita di liquidi. Sintomi questi che - secondo il protagonista di questa vicenda, un uomo di 40 anni e dichiaratamente obeso, gli hanno provocato gravi danni alla salute. Insomma, per lui la colpa è dei responsabili dell’ufficio. Per questo motivo l’uomo si è rivolto alla Procura di Trieste chiedendo di attribuire il nesso di causalità tra l’ambiente di lavoro e il suo stato di salute dichiaratamente precario.
Venerdì 13 novembre l’uomo, del quale non pubblichiamo le generalità per ragioni di privacy, comparirà come parte offesa in un procedimento attivato dal pm Maddalena Chergia allo stato contro ignoti davanti al gip Laura Barresi. Il procedimento si sarebbe dovuto chiudere già tempo fa con l’archiviazione, dopo gli esiti della perizia disposta dal giudice e affidata al medico legale Carlo Moreschi. Infatti il consulente nella sua relazione ha escluso il nesso di causalità attribuendo il malessere dell’uomo solo al suo stato, indipendentemente dall’ambiente di lavoro.
Ma l’impiegato, com’è suo diritto, si è opposto all’archiviazione del procedimento ed è stata pertanto fissata per oggi l’udienza davanti al gip Barresi. Nell’atto di opposizione l’uomo ricorda ad esempio che «i vertici aziendali si sono dimostrati gravemente irresponsabili non avendo voluto dar seguito alle prescrizioni. Il rapporto massa-peso - continua l’atto - identifica il sottoscritto come affetto da obesità. Il soggetto ha gravi difficoltà a disperdere il proprio calore corporeo dacché lo stesso viene generato in quantità molto superiore a un soggetto normotipo. Nella letteratura di riferimento - viene precisato - il calore corporeo disperso da un soggetto di circa 100 chili è quasi il triplo di quello ingenerato da un soggetto di 60 chili».
Infine: «Innanzi a una temperatura media di 37 gradi la reazione fisica ed elettrolitica del corpo è stata ben più intensa e debilitante rispetto a un soggetto di normali dimensioni. È difficile ignorare come una temperatura così estrema protratta per tutta la fascia lavorativa non cagioni serie conseguenze». Venerdì la parola al giudice.(c.b.)
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