Trieste, no al razzismo: «Bloccate CasaPound»
TRIESTE Alle dieci meno cinque l’assessore alla Cultura del Comune di Trieste, Giorgio Rossi, si aggira attorno alla targa di piazza Unità con in mano cinque rose bianche legate da un nastro color glicine. Attorno a quella targa, che ricorda l’orrore delle leggi razziali, sta per iniziare il ricordo che il Comune e la Comunità ebraica hanno deciso di fare nel giorno dell’anniversario dell’annuncio di Mussolini proprio in questa piazza 80 anni fa. Un signore, in prima fila, tiene alta e ben visibile la prima pagina speciale del Piccolo con la scritta “No al razzismo”. Le statue di Michez e Jachez sulla campana del Municipio scandiscono l’ora: le dieci in punto. La piazza inizia timidamente a riempirsi (ci saranno un centinaio di persone), si aspetta solo monsignor Salvadé: don Malnati, vicario del vescovo, per altri impegni, non poteva essere presente. Così come non è presente il sindaco Roberto Dipiazza, che affida il suo pensiero in una giornata come questa a un post su Facebook. «Assente perché fuori città», spiegherà più tardi Rossi. In compenso arriva il suo vice, Paolo Polidori. Pochi minuti dopo, il “momento del ricordo” può cominciare.
«Ringrazio tutti, ma soprattutto i cittadini che sono venuti qui oggi numerosi in rappresentanza della nostra città e tutte le forze politiche di tutto l’arco costituzionale che hanno voluto interpretare in maniera unitaria questo momento», esordisce l’assessore alla Cultura. «Ottant’anni fa Mussolini marchiava in maniera indelebile questa città. Siamo qui oggi per denunciare quello che è stato. Queste rose che ho in mano indicano la purezza, quello che erano in quel momento quelle persone che hanno subito quel torto, quello sfregio. Sul sangue di quei cittadini, coloro che sono stati gli agnelli sacrificali di questo massacro, oggi va tutto il nostro senso di pietà e di desiderio che quel sangue faccia risorgere in questa città un nuovo fiore che è quello dell’accoglienza, della speranza e dell’amore tra i popoli».
«Su questa piazza è stato pronunciato un discorso antisemita e l’antisemitismo è come un virus: muta col tempo», scandisce il rabbino Alexander Meloni, in piedi accanto al vicepresidente della Comunità ebraica Davide Belleli. «Come mai l’antisemitismo può sbocciare? Questo dobbiamo chiederci. Purtroppo dipende anche da un fattore politico. Quando dei politici assecondano una popolazione nel suo antisemitismo, per utilizzarlo a fini propri e per il potere, sboccia quello che successe nel 1938. Sboccia cioè sull’odio per l’umanità. Utilizzare questi avvenimenti a fini politici è un altro sbaglio. Sono momenti che devono permettere e favorire la riflessione. Polemizzare è fare esattamente quello che hanno fatto i fascisti all’epoca. Come si può essere nostalgici del fascismo?», si inalbera il rabbino Meloni. «Nel fascismo non c’è niente di buono. Ma Trieste sa rispondere: no al fascismo, no all’estremismo, no all’esclusione».
Un accenno, velato, al clima in città? Nessun riferimento diretto, comunque, alle polemiche di questi giorni nate attorno al manifesto della mostra organizzata dai ragazzi del liceo Petrarca, ma Meloni mette in guardia invece su quello che succederà il prossimo 3 novembre. «Purtroppo un altro avvenimento deve avvenire in questa città (il riferimento alla manifestazione dei neofascisti di CasaPound è chiarissimo, ndr). Non si può bloccare, ma ciò non impedisce alle autorità, religiose e civili, di discutere e mandare un messaggio: Trieste vi accoglie, perché la legge vi consente di venire qui e perché siamo democratici, ma ciò non vuol dire che siamo d’accordo con voi o che vi amiamo. Ecco - e si rivolge con lo sguardo direttamente a Rossi - quello che si deve fare».
Piccolo momento di imbarazzo, poi, sul successivo relatore: dovrebbe prendere la parola monsignor Salvadé, che invece fa cenno all’assessore Rossi di non voler parlare. È allora il turno dello storico Roberto Spazzali, che sugli avvenimenti che qui avvennero ottant’anni fa tiene una splendida lezione.
«Qui furono annunciate le leggi razziali. Anzi, sarebbe meglio dire leggi razziste. Trieste in quegli anni era diventata la Porta di Sion per gli ebrei esuli del Centro Europa, che poi raggiungevano la Palestina o le Americhe. Qui, in questa città, transitarono più di 150 mila persone». E conclude con un appello. «Al Magazzino 18 e al Magazzino 30 vennero raccolti i beni degli ebrei in fuga. Sarebbe bello se si mettessero delle targhe in quei due edifici in Porto vecchio. Per non dimenticare».
A ritornare sull’argomento del tanto discusso manifesto della mostra del liceo Petrarca è invece don Malnati che, al telefono di ritorno da Lugano dove si trovava per una conferenza, spiega: «Sono assolutamente dalla parte dei ragazzi. Ho anche mandato loro un tweet di sostegno. Ma ciò che mi preme sottolineare oggi è la manifestazione di Casa Pound che ci sarà il 3 novembre: come è possibile che ciò avvenga? Ho deciso, in proposito, di scrivere una lettera al presidente della Repubblica. Com’è possibile che in una città come questa sfilino per le strade personaggi del genere?». —
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