Trieste, narcotrafficanti smascherati dai letturisti
TRIESTE Due semplici addetti alla lettura dei contatori, con tanto di tesserino identificativo e pettorina. Ma con un compito ben preciso: cercare cocaina. È così che la polizia ha incastrato la banda di narcotrafficanti colombiani e dominicani che aveva messo radici a Trieste, quella con a capo il ventinovenne Jonathan Andres Suarez Cabezas. Per lui, in questi giorni sotto processo con altri undici imputati (triestini compresi), la Procura ha chiesto ben 22 anni di carcere.
Il retroscena investigativo viene a galla proprio in questi giorni di udienze. Un anno fa gli agenti erano riusciti a mettere le mani sulla droga che i criminali nascondevano in un’anonima casetta di Campanelle, usando un insolito stratagemma: per non insospettire Cabezas, avevano chiesto aiuto all’AcegasApsAmga. Per una volta due operatori si erano trasformati in una coppia di “007”.
È il 27 dicembre quando gli addetti, fino a quel momento abituati a rilevare i consumi di acqua e luce negli appartamenti dei triestini, si presentano al numero 248 di via Campanelle, dove la polizia ritiene che la gang abbia portato grossi quantitativi di polvere bianca.
Lì abita una vecchietta che la banda di trafficanti era riuscita ad adescare facendo leva sull’amicizia di un’altra componente della gang, la quarantanovenne colombiana Carmen Maria Lantigua Burdiez, mamma della convivente del “capoccia” Suarez. La casa, raccontano oggi i residenti della zona, in effetti era diventata all’improvviso un insolito via vai di sudamericani. Ma la vecchietta di Campanelle, come constateranno i magistrati, era assolutamente ignara che dentro la sua abitazione si celava lo stupefacente. Un vero e proprio deposito.
I due addetti entrano, controllano, e vedono i pacchi. Quasi due chili di cocaina e uno e mezzo di marijuana. Dalle perquisizioni all’interno dell’alloggio spunterà pure una pistola. Sono le prove che servono agli agenti per mettere a segno il blitz, sequestrare droga e armi, e farlo apparire agli occhi del capoccia colombiano come una scoperta “casuale”.
Tutto fila liscio per gli investigatori: Suarez, pur accusando il colpo dell’ammanco, non annusa la foglia. Non si allarma, non sa di essere sotto tiro, e continua il suo traffico. Pure in Slovenia, dove si reca per prendere la droga che gli serve per sopperire a quella sequestrata. Gli investigatori posso quindi restare sulle sue tracce e risalire al giro, con intercettazioni e pedinamenti: una rete di contatti con personaggi che avevano base in Colombia e in Spagna. È a Barcellona e a Madrid che la sostanza veniva acquistata da Suarez e dalla compagna Karen Maria Baez Lantigua, detta “Karina”.
È la ventisettenne incaricata a fare da “contabile” dell’intero gruppo oltre che a occuparsi pure del ritiro dei rifornimenti. L’accusa, per lei, ha domandato 19 anni, 5 mesi e 10 giorni. La coca veniva portata direttamente in Italia, a Vicenza, per le successive attività di spaccio. Ma la gang di colombiani e dominicani si serviva anche del garage della casa di via Gatteri 62 di un tassista triestino, il sessantaduenne Roberto Indelicato. Lì si confezionavano e si smistavano le buste e i panetti. La cocaina e la marijuana non erano destinate soltanto a Trieste, ma pure al resto del Friuli e al Veneto. L’organizzazione messa in piedi dalla banda di colombiani era dunque vasta. Di qui l’ipotesi che la gang avesse architettato una vera e propria associazione a delinquere finalizzata al traffico illecito di sostanze. Un gruppo che si serviva anche di altri parenti, per lo più cugini. Tesi che la difesa, tra cui l’avvocato Luca Ferrucci che tutela ben 7 imputati, sta tentando di smontare.
Il traffico, al di là dei rapporti familiari, appare ramificato: dopo aver comperato la cocaina e la marijuana all’estero, la coppia attivava il trasporto a Trieste. Nel via vai entrava spesso in scena il tassista Indelicato: 10 anni e 8 mesi la pena proposta per lui dai pm Maddalena Chergia e Massimo De Bortoli (gup Guido Patriarchi) che nel corso delle scorse udienze in Tribunale si era però difeso affermando di non essere a conoscenza che nella sua auto qualcuno infilava pure la polvere bianca. La vendita della sola coca avrebbe fruttato un guadagno mensile di circa 60mila euro.
Un gruzzolo sufficiente al capoccia Suarez per togliersi gli sfizi: a casa sua, in via Corridoni, la polizia ha trovato centinaia di scarpe. E abiti di lusso. Roba comprata nelle boutique di via Montenapoleone a Milano.
Dopo l’intervento dei difensori in aula, il processo riprende il prossimo anno con le repliche dell’accusa. Nove faldoni e 7 mila pagine di atti. A febbraio la sentenza.
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