Trieste, Napp sotto inchiesta per bancarotta fraudolenta
TRIESTE. I militari del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza di Trieste si sono presentati ieri mattina a casa di Franco Napp. L’ex numero uno della Depositi Costieri spa, la società finita nell’inchiesta per riciclaggio di denaro sporco della camorra, è indagato dalla Procura. L’accusa è bancarotta fraudolenta per dissipazione e bancarotta semplice. Secondo le indagini dei pm Lucia Baldovin e Matteo Tripani, Napp avrebbe avuto precise responsabilità nel fallimento dell’impresa.
Le Fiamme gialle hanno perquisito l’abitazione del manager che, come noto, alla sua attività imprenditoriale privata abbina anche quella di amministratore delegato di Trieste Terminal Passeggeri. I militari sono entrati pure nello studio che utilizzava in Dct prima della cessione dell’impresa.
Nel corso del blitz, avvenuto alle otto di mattina, sono stati setacciati computer, telefonini e documenti. Napp, stando a quanto si apprende, non ha opposto alcuna resistenza. Si è dimostrato disponibile e collaborativo. Una trentina i militari impegnati.
L’inchiesta aggiunge un nuovo tassello alla complessa attività investigativa portata avanti fin qui dalla Guardia di finanza sul caso della Depositi Costieri, la storica ditta che si occupa della movimentazione e dello stoccaggio dei prodotti petroliferi nel punto franco oli minerali. Perché Napp, ad oggi, si è sempre proclamato «vittima» del crac finanziario dell’impresa, gravata da un debito di 30 milioni di euro causato da accise non pagate dai clienti (tra cui la Maloa, una società maltese), con cui l’azienda triestina era in affari e che di fatto l’hanno messa in ginocchio.
Ma il rosso accertato dai finanziari nei confronti del fisco sarebbe ancora più ingente: si parla di 50 milioni di euro. E qui il manager si trova inquisito. La Procura contesta una gestione negligente e una serie di pagamenti ritenuti inopportuni vista la pesante difficoltà economica in cui versava la società che Napp dirigeva. Operazioni che gli investigatori ritengono quanto meno «imprudenti» e che avrebbero contribuito a peggiorare il quadro finanziario della ditta. Ma su Napp si sospetta anche un mancato controllo sulle accise dovute, quelle da cui ha avuto origine parte del tracollo che ha determinando il debito milionario. Visto l’incarico di primo piano, Napp avrebbe avuto degli oneri di controllo: perché non si è accorto di quegli ammanchi? Imprudenza? Chi vigilava sugli F24 che circolavano in azienda? Questi gli interrogativi degli inquirenti. Tutte ancora ipotesi, naturalmente, da dimostrare in sede giudiziaria.
Le perquisizioni ordinate dalla Procura, con l’acquisizione del materiale informatico e cartaceo, investono dunque il procedimento penale aperto in ambito fallimentare e mirano a ricostruire le possibili responsabilità di Napp sulla voragine della spa. Le verifiche riguarderebbero svariati milioni di euro impegnati dal manager. Acquisti e contratti ritenuti del tutto anti-economici vista la crisi della società.
L’ex numero uno di Dct non è invece stato travolto dal filone investigativo scoppiato un mese fa sul riciclaggio. È la parte più spinosa di tutta la vicenda: la finanza aveva scoperto che la Depositi Costieri, nonostante il crac milionario, era stata venduta dal manager triestino (4,5 milioni di euro la somma pattuita) alla Life srl, un’impresa composta da imprenditori prevalentemente campani e collegati con la criminalità organizzata: Giuseppe Della Rocca e i soci Renato Smimmo e Pasquale Formicola. Quest’ultimo è riuscito a fuggire durante una maxioperazione delle Fiamme gialle nei pressi di Napoli. I soldi impiegati per comprare la società, così hanno accertato i finanzieri, provenivano da un enorme giro di fatture false e imprese finte. Napp, dal canto suo, è stato amministratore delegato di Dct, ma ha continuato a mantenere il ruolo di presidente della spa fino a poco tempo fa, anche dopo il passaggio della società al gruppo di napoletani.
La lampadina degli investigatori si è accesa sulla società proprio in seguito alla cessione: perché comprare a colpi di milioni un’azienda in rosso? Dopo sei mesi di indagini è venuto a galla il presunto marcio: dall’esame sui dati di bilancio, ai finanziari è apparso chiaro che i soldi usati dai tre campani erano a “costo zero”. Arrivavano cioè da un’enorme macchina del riciclaggio, frutto di un giro di false fatturazioni pari a 160 milioni di euro ed evasioni di Iva per 35 milioni.
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