TRIESTE Napolitano, Türk e Josipovic seppelliscono le ferite

LAa Storia in una stretta di mano. I tre capi di Stato sui luoghi simbolo. Lungo applauso all’ex Narodni, in pochi al monumento dell’Esodo


TRIESTE È un quaderno grigio e nero, acquistato quasi alla spicciolata da ”Smolars”, ma si conquista un pezzettino di Storia: Giorgio Napolitano, Danilo Türk e Ivo Josipovic vi affidano una dedica. La dedica dell’amicizia. Quella che rimargina, dovrebbe, le tante, troppe ferite del Novecento. Scrive l’italiano: «Rendiamo omaggio alle vittime degli odi del passato e celebriamo il nostro comune impegno per la pace e l’amicizia tra i nostri popoli». Scrive lo sloveno: «Oggi apriamo un nuovo capitolo della Storia. Ci siamo lasciati alle spalle un periodo di violenza iniziato novant’anni fa. E davanti a noi c’è un futuro comune basato sui diritti umani e su un percorso europeo».


Scrive il croato: «L’amicizia tra le genti e i popoli è più forte del Male che si manifesta più volte nella Storia. Dobbiamo saperlo riconoscere, il Male, per sconfiggerlo. Ma i popoli croato, sloveno e italiano sanno farlo e, con fiducia, guardano al comune futuro europeo». Marino Marsic, il custode temporaneo di quel quaderno ormai libro d’onore, legge e rilegge la dedica congiunta. E si emoziona: «L’hanno vergata nell’atrio dell’ex Narodni dom, uno dopo l’altro, su un’unica pagina». Unica come la bacchetta di Riccardo Muti che propizia la ”magia”: i presidenti di Italia, Slovenia e Croazia insieme, a Trieste, a compiere un gesto simbolico che sembrava impossibile. Quanti tentativi falliti, quanti ostacoli.


E Napolitano, non appena mette piede nella città ”cara al cuor” degli italiani, lo ammette: «C’è costata parecchia fatica. Abbiamo dovuto superare malintesi e preoccupazioni da ambo le sponde ma, credo, ci siamo riusciti». Non sbaglia: il ”concerto” dei tre presidenti, su uno spartito ossessivamente limato, non stecca. E lo striscione pacifico di Samo Pahor, il grido isolato contro gli ”infoibatori”, il dissenso aperto di Roberto Menia, le assenze del centrodestra triestino e gli attacchi sul ”Delo”, scivolano via. «Polemiche non rilevanti» minimizzerà Josipovic. Nel gran giorno, il presidente italiano arriva per primo. E, subito, dà il la: «Non possiamo essere prigionieri del passato come lo siamo stati in tutti questi anni. Il nostro dovere è guardare avanti». La memoria, sia chiaro, si coltiva: e Napolitano ricorda le celebrazioni al Quirinale del ”Giorno del ricordo”, il suo omaggio alle vittime delle foibe e dell’esilio, la sua umana partecipazione.


Ma, al tempo stesso, insiste: «Oggi i nostri tre Paesi si ritrovano accomunati nell’Unione europea. Italia e Slovenia ne fanno parte, speriamo che la Croazia entri presto, ma dobbiamo saper costruire un clima di collaborazione operosa di cui già esistono tutte le condizioni e che spero riceva impulso dal grande evento dovuto all’iniziativa di un grande musicista italiano». Poi, dopo la festa alla Sissa, il presidente si reca in prefettura. Aspetta i suoi ospiti: Josipovic e Türk arrivano, a distanza di cinque minuti, puntualissimi. All’ora dell’aperitivo. Salgono nel palazzo che dà su piazza Unità d’Italia. E, con il ”padrone di casa”, si stringono subito le mani. Le alzano in alto come tre calciatori con la ”Coppa” più preziosa. Si ritagliano un breve colloquio in inglese: «Abbiamo parlato del futuro» dirà Türk. Poi, in pullmino, raggiungono la prima tappa del viaggio simbolico di riconciliazione: l’ex Narodni Dom, l’ex casa del popolo incendiata novant’anni fa e assurta a simbolo sloveno dell’inizio delle persecuzioni fasciste, oggi ”casa” della scuola interpreti e traduttori. Il corteo è lungo: arrivano Roberto Dipiazza, Maria Teresa Bassa Poropat, Renzo Tondo, Edouard Ballaman e tanti deputati del centrosinistra. Scendono i tre presidenti e incassano un primo, lunghissimo applauso: il caldo è africano eppure in tanti, e tanti della minoranza slovena, battono le mani. Napolitano, Türk e Josipovic assistono alla deposizione della corona di fiori rossi e bianchi, la sfiorano, in un muto omaggio. Entrano nel palazzo, stringono mani, scrivono la dedica.


Dieci minuti. Poi, ancora in pullmino, fanno pochi metri e toccano la seconda tappa: il monumento in pietra di piazza Libertà in ricordo dell’esodo dei 350mila italiani istriani, fiumani e dalmati. Lì, davanti a quella che Menia ha definito «un’ex centralina elettrica», c’è poca gente. Mancano gli esuli: «Non voglio commentare la loro assenza. Ma io non posso non esserci quando si rende onore alla tragedia dell’esodo» dichiara, a caldo, Furio Radin, il deputato italiano al parlamento croato. Il cerimoniale procede: i presidenti sfiorano nuovamente la corona in un omaggio nuovamente muto. I giornalisti incalzano, chiedono un commento: «Certi gesti parlano da soli. Sono i gesti di amicizia tra i nostri tre Paesi» dice, semplicemente, Napolitano. Il corteo torna in prefettura. Ma non è finita. Türk e Josipovic, prima della cena di gala dove gusteranno tagliolini all’astice e branzino al sale inaffiati da Friulano e Sauvignon, scendono in piazza. E stavolta, quasi in contemporanea all’arrivo di Muti e dei 360 giovani musicisti che provano i tre inni, rompono il silenzio. «È una giornata importante nel segno dell’amicizia. È ora di aprire un nuovo capitolo e guardare avanti nel ricordo delle tante vittime del passato» afferma il presidente sloveno. E le polemiche? I nuovi gesti simbolici ancor più forti come quello alle Foibe a gran voce invocato? «Non credo sia giusta un’inflazione di gesti simbolici. Ora si deve guardare avanti». Il presidente croato, a pochi metri, esalta una giornata «storica»: «È ora di rimarginare le ferite del passato e guardare insieme al futuro in Europa». Quell’Europa che Josipovic spera d’agganciare prestissimo: «Cercheremo di chiudere i negoziati entro l’anno. E, tenendo i piedi per terra, contiamo d’entrare all’inizio del 2012. Se è prima, meglio». Adesso, però, è davvero finita: i tre presidenti cedono la scena al concerto. E al Maestro che l’ha voluto. RIPRODUZIONE RISERVATA

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